Vampiri al cinema e dintorni

VAN HELSING, Hugh Jackman, Kate Beckinsale, 2004, (c) Universal

Van Helsing (id., 2004), di Stephen Sommers con Hugh Jackman e Kate Beckinsale

A lei piacerebbe passare quattrocento anni vestito come un capocameriere?
Amore al primo morso (Love at First Bite, 1979, di Stan Dragoti)

La continua mutazione del vampiro[1]

Il  “vampiro” e indubbiamente un fenomeno culturale.  Questa figura e talmente diffusa in tutti i luoghi e le epoche da divenire  una costante dei processi culturali. In alcuni  periodi storici  il  “soggetto  vampiro” rimane  un  po’ discosto, nelle “tenebre”, per poi riemergere alla “luce” con tutta la sua forza.

Attualmente – non a caso ci troviamo a ridosso del passaggio del millennio – la situazione politica, sociale ed economica “sembra” (anche se in realtà si tratta di pura apparenza) in fase di crisi e mutamento. Periodo quindi ideale per il risorgere di credenze  e  miti che  affondano  le  loro  origini  nell’irrazionale. L’elemento scatenante del fenomeno attuale, che ha periodi di latenza alternati ad altri   manifesti,  e   stata   una   produzione cinematografica. Sull’onda del successo internazionale avuto  dal film  di  Francis Ford Coppola, Dracula (Bram  Stoker’s  Dracula, Usa,  1992)  – rivisitazione del mito,  interpretata  con  guizzo personalistico  dal  regista autore della saga del Padrino  (The Godfather, 1972) – sono stati prodotti saggi,  rappresentazioni teatrali, convegni, nuove interpretazioni del fenomeno. Infine il tema  del vampiro ha nuovamente popolato gli schermi  del  cinema con nuove pellicole. Produzione in costante aumento.

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La maschera del demonio (1960) diretto da Mario Bava con Barbara Steele

Le origini

Il  mito del vampiro affonda le radici nelle  prime  civiltà mediterranee ed orientali, in quelle classiche, percorre tutto il Medio Evo per arrivare ai nostri giorni.

La  derivazione del vampiro “moderno” e abbastanza nota.  Il 15  giugno 1816 nella villa Diodati a Ginevra si riunì un  gruppo di amici, scrittori, Byron, Shelley, sua moglie Mary e  Polidori. Si sfidarono, per gioco, nello scrivere un racconto  dell’orrore, ognuno  diverso  dall’altro.  Mary  Shelley  scrisse  il famoso Frankenstein e Byron – altri indicano invece come autore Polidori – la celebre novella The Vampire, capostipiti entrambi del genere horror. L’ulteriore codificazione della figura del vampiro si  ebbe nel 1897 con  l’uscita del romanzo  di  Bram  Stoker  Dracula. Dopodiché   le quotazioni della letteratura dell’orrore si impennarono, facendo sfornare agli autori del genere romanzi  su romanzi di varia qualità.

Ma, fra tanti nomi, credenze, spicchi d’aglio, crocefissi  e raggi  di sole, il mito del “succhiatore di sangue”,  antecedente alla  moderna  letteratura dell’orrore, si  perde  nelle  brumose lande di qualche nordico paese dell’est europeo. Dracula – Drakul o Drtakul nella grafia originale – infatti, il vampiro più  noto, aveva  come  campo d’azione la Moldavia e le zone  più  orientali della Romania. Narra la leggenda che dovesse spostarsi – era  tra l’altro un vampiro-demone – portando con se la propria  bara,  e durante  le  apparizioni  lasciasse  le  proprie  vesti  in  tale contenitore.  Per  fermarlo si dice che bastasse sottrargli l’abbigliamento, abbandonato nella tomba momentanea.

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Nosferatu (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922) di Friedrich Wilhelm Murnau

Nosferatu, noto per aver popolato  con la sua presenza anche l’omonimo  film  di  Friedrich Wilhelm  Murnau  (Nosferatu,  eine Symphonie  des  Grauens,  1922)  e il  remake  girato  da  Herzog (Nosferatu,  Phantom der Nacht, 1978), prediligeva  la  Valacchia oltre  alla sempre apprezzata Romania. Aveva altri nomi, tra  cui Moroi  che significa “non morto”, e per diventarlo la  condizione principale era, ovviamente, di essere morti, possibilmente con  i capelli  rossi. Per eliminarlo bisognava inchiodarlo  nella  bara con un ramo d’abete, quindi bruciare tutto.

 Ma se, anziché compiere una panoramica in giro per il  mondo – che riserverebbe episodi “gustosi”, come i vampiri cinesi,  tra cui  Ch’Ing  Shi, essere orrendo dal volto pallido,  con  capelli verdi  incolti, occhi rossi e sguardo crudele – ci  spostiamo  in regioni   più  vicine  a  noi,  osserviamo   una   concentrazione particolarmente  elevata  di vampiri nelle  terre  che  formavano l’ormai disciolta repubblica della Yugoslavia.

Il  Blautsauger,  originario della Bosnia-Erzegovina,  e  un morto-vivente  privo di scheletro, tutto ricoperto di pelo, con grandi occhi infossati di topo. Si dice che debba portare con  se parte  della terra in cui e stato sepolto, con la quale  diffonde il  vampirismo  fra coloro che dormono.  Per  arrestarne  l’opera bisogna  disseminare la sua tomba di fiori di  biancospino,  che, cosi continua la superstizione, per oscuri motivi sarà  costretto a raccogliere. Al sorgere dell’alba si troverà all’aperto, dove i raggi del sole lo dissolveranno.

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In Dalmazia invece circola il Kuzlak o Kuzlai. Vampiro bimbo che,  invece  del  latte, succhia il sangue.  Un  po’  spiritello matacchione  si diletta nei “fenomeni paranormali”, come  oggetti spostati,  mobili volanti, ecc. Anche qui per eliminarlo  occorre un paletto appuntito di biancospino, con il quale trapassarne  il cuore, meglio se tenuto in mano da un francescano. Stesso  metodo per  il vampiro dell’Istria, lo Strigon, che vaga nottetempo  per casolari  e  villaggi, aggredendo bimbi e donne,  anche  solo  in forma  sessuale.  Teme  i  Kresniki,  cacciatori  di  vampiri   e licantropi,  “nati con la camicia” – la placenta – un po’  come  i Benandanti friulani che, fra il cinque e seicento, proteggevano campi, raccolti e popolazione da streghe e demoni.

Un po’ più giù, verso la Serbia si aggira il Mulo, che deriva da  uno zingaro assassinato o da un bimbo  morto  prematuramente. Beve  il vino oltre al sangue (come dice un noto  proverbio).  E’ sempre ben vestito, anche se predilige il colore  bianco. Può  trasformarsi  in oggetti e vegetali. Infine, la  sua  specialità: rapisce  le belle  ragazze, le mette a  bollire  tutte  nude  in pentoloni  d’acqua, per poi disossarle rendendole cosi della sua stessa consistenza. Esiste, anche in questo caso, l’ammazzavampiro specifico, il Dhamphir, che con riti magici  può batterlo e distruggerlo.  Sempre in Serbia, terra ricca di mostri e vampiri, si trova il Vlkodlak, maschio trentenne,  dall’aspetto rubizzo e “sanguigno”. La sua attività e ciclica, della durata di sette  anni.  Poi  vi e un periodo  di  latenza,  utilizzato  per spostarsi  in un’altro territorio “vergine”,  dopodiché  riprende per un altro periodo settennale. Tra le varie doti necessarie per divenire vampiro e richiesta la qualifica di spergiuri, assassini e,  inoltre,  di  aver avuto rapporti  sessuali  con la propria madrina.  E’ possibile trasformarsi nell’abitatore della notte anche  in  seguito  al  morso  di un  lupo  mannaro  o  nel  caso particolare  in cui ci si sia  cibati di carne contaminata da  un licantropo. Per  distruggerlo  bisogna  tagliargli  i   piedi, piantargli   un  chiodo  nella  fronte,  poi  infiggere il sempre presente  paletto di biancospino nell’ombelico, quindi coprire  le  zone pelose del non-morto con pezzi  di  stoppa,  ed infine  dare  fuoco a tutto quanto con le candele  usate  per  la veglia   funebre   del  “bevitore   di   sangue”.   Un’operazione indubbiamente complessa.

Per favore non mordermi sul collo! (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski

Per favore non mordermi sul collo! (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski

Anche la Croazia ha il suo “mostro” originale,  il  Pjwika, che oltre a comportarsi come un normale vampiro, necessita di una metodologia   particolare  per  la  sua   eliminazione. Bisogna tagliargli la testa e infilarla fra le sue gambe  (eventualmente, se ciò non e possibile, in seconda scelta, fra le braccia).

E  in  Italia?

Oltre ai classici vampiri,  che  ritroviamo provenienti dal vicino confine slavo, sembra non  vi  sia  una caratterizzazione   autoctona.  Il  discorso  pero  muta  se   ci soffermiamo   sulle  donne.  Sembrerebbe infatti  che  in  questa “specie” la casistica “demoniaca” sia più ricca. La   derivazione   e  classica,  proveniente dalle Lamie dell’antica Grecia, presenti nella mitologia come vampiri, spesso sotto  sembianze di uccelli, che succhiano il sangue agli  uomini  mentre  dormono.  Da  qui  si  trasferiscono nella Roma antica prendendo il nome di Striges o Mormos, continuando a compiere  le stesse  azioni  di notturne dissanguatrici. Non a  caso  venivano indicate,  pure  con  il  nome  di  Striges,  le  cortigiane  dai prorompenti  costumi sessuali, quasi a sottolineare un  parallelo con i significati simbolico – sessuali del vampirismo[2].

Sessualità e delitto

Ma  quali  sono  i  motivi per cui si  crea  la  figura  del vampiro?  Esistono  a  chiarimento  alcuni  casi di vampirismo documentato in tempi moderni, e quindi confrontabili  con  le lontane credenze,  che permettono di  risalire  all’origine del fenomeno.

La  contessa  Erszebet Bathory faceva il  bagno  nel  sangue delle  giovani a cui aveva fatto tagliare la gola, ne uccise più di  600,  ritenendo  che  la sua  pelle  beneficiasse  di  queste immersioni. Non era “propriamente” una vampira, anche se vi erano parecchi  punti  di  contatto  tra  le  sue  pratiche  e   quelle specificatamente vampiriche.sangueelarosadvd

Il più noto e sicuramente Peter Kurten, nato in Germania nel 1883.  Dalle sue gesta vennero tratti due noti film M, il  mostro di  Dusseldorf (M, 1931) di Fritz Lang, e La belva di Dusseldorf (Le  vampire  de Dusseldorf, 1965) di Robert Hossein. A  13  anni aveva  tentato di violentare le sue coetanee a scuola,  uccidendo anche due bambini. Fra i 17 e i 43 uccise altre tre volte  tentando altri sei omicidi. Ma fu solo nel 1925 che inizio la  catena di delitti che lo rese famoso. Dieci omicidi, quattro tentativi di omicidio, 14 aggressioni, diciotto incendi. Di notte girava  con un’ascia e dei grossi coltelli che utilizzava per placare la  sua sete di sangue, bevuto direttamente dal collo delle sue  vittime. Inoltre  abusava sessualmente dei cadaveri delle bambine  da  lui uccise.

Non  era da meno Vincenzo Verzeni, nato in Italia nel  1849. Uccise due donne, unicamente per poterne bere il sangue.  Ciò gli procurava  un  grande  piacere,  superiore  a  quello sessuale. Dichiaro  al  processo “strangolare le donne mi dava  un  piacere incredibile, accompagnato da vere e proprie erezioni seguite  da uno sfogo completo […] non mi e mai venuto in mente di guardare i genitali  di una donna; mi bastava stringere loro il collo e succhiare il loro sangue”.  Ma anche la Gran Bretagna ebbe il suo vampiro  sotto  le spoglie di John Haigh, giustiziato nel 1949.

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Van Helsing è una serie televisiva statunitense del 2016

Uccise nove volte allo scopo di bere il sangue delle vittime. Nel suo memoriale scrisse: “le ho praticato un’incisione alla gola  e ho  bevuto un bicchiere di sangue. Portava una catenina  con  una croce al collo;  provai  un  godimento  straordinario  nel calpestarla”. Un’azione simile a quella  dei vampiri letterari o cinematografici di tutto il secolo.

Anche in tempi recenti si sono verificati altri episodi simili. A Rio  de Janeiro e stato arrestato Marcello Costa Andreade di 25 anni  che ha ucciso, nel solo 1991, 14 bambini, sodomizzandoli e bevendo il loro sangue, e dall’inizio della sua “carriera”  almeno  80.  E’ stato soprannominato il “Vampiro di Rio”.

Appare  chiaro  che le connessioni fra  sessualità  distorta (dal comportamento sociale,  da  esperienze precedenti, da patologie preesistenti, ecc.) e “desiderio” del sangue sono molte e fondamentali. Analogamente la costruzione del “mito”  vampirico si osserva in periodi di turbamenti sociali esasperati  (potremmo dire  perciò  molto  spesso).  Un ultimo  caso,  descritto  dallo psichiatra  Frank Caprio – nel suo trattato Omosessualità  della donna (1961)  –  appare illuminante: “avevo  notato  anche che arrivava  allo stato di eccitazione sessuale mordendo il collo e le spalle della compagna durante la masturbazione reciproca. Amava  mordere e succhiare la sua amica fino a  provocarle  delle ecchimosi.  Un giorno che la sua compagna si era tagliata un  dito aprendo  una  scatola  di conserve, ella le  aveva  succhiato il sangue dicendole che la sua saliva era antisettica e guariva  le ferite. La  malata parlo a lungo dell’eccitazione sessuale  che aveva  provato succhiando il sangue dell’amica. Ciò prova come a volte l’eccitazione sessuale sia legata al cosiddetto vampirismo”.

Space Vampires (Lifeforce, 1985, di Tobe Hooper

Space Vampires (Lifeforce, 1985), di Tobe Hooper

Questo ci porta a Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu,  che, accanto  al Dracula di Bram Stoker, risulta essere il  testo  più visitato dalle trasposizioni cinematografiche. Film che divengono esempi  per dimostrare – in versioni più o meno fedeli  al  testo originario – gli elementi fondamentali del fascino, dell’uso e della strumentalizzazione della figura del vampiro.

Carmilla seduce le sue vittime scegliendole tra le fanciulle più  belle che popolano l’area geografica delimitata dal  massimo spostamento consentito  dall’ubicazione  della cripta – rifugio (ritorno  al ventre materno) in cui deve “rientrare”  ogni  sera.

Duplice  quindi  la  funzione simbolica: il  non  distacco  dalla madre,  un  legame  inibitore, e una  sessualità affiorante prepotentemente, ma inibita nel suo realizzarsi dal “sangue”  (e dalla figura  parentale) assunto quale valore di vita. Parallelamente,   altro  elemento  interpretativo, esiste una funzione  sociale  del soprannaturale[3] “per  molti  autori  il soprannaturale  non era che un pretesto per descrivere  cose  che non avrebbero mai osato menzionare in termini realistici”. Questa interpretazione  vista soprattutto[4] come  trasgressione  delle regole sociali  e  non  indirizzata  ad   una visione del soprannaturale. Nel caso specifico di Carmilla come  accettazione dell’omosessualità femminile, cosi come più in generale la figura del  vampiro richiama esplicitamente ad una promiscuità  sessuale posta in una luce ambigua di desiderio-maledizione.

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Space Vampires (Lifeforce, 1985), di Tobe Hooper

Immagini e movimento

Nel cinema il fattore determinato dal binomio omosessualità femminile – vampiri  diviene  molto evidente. Il  regista  spagnolo Jesus Franco intitola addirittura un film Vampyros lesbos  (1970, con  Soledad  Miranda), ma pensiamo anche a Vampiri  amanti  (The Vampire Lovers, 1970) di Roy Ward Baker che descrive gli  “amori” tra  Ingrid  Pitt  (Carmilla) e Pippa  Steele,  o  alla  Carmilla interpretata da Alexandra Bastedo in Un abito da sposa macchiato di sangue (La novia ensangrentada, 1972) di Vincente Aranda.  Non da  meno in Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger, 1983)  di Tony Scott, in cui assistiamo ai saffici e sanguinari piaceri tra Catherine  Deneuve e Susan Saradon. Risale agli anni sessanta  la prima  versione cinematografica di Carmilla, lo stereotipo  della vampira  lesbica, grazie a Roger Vadim con il suo Il sangue e  la rosa  (Et  mourir  de plasir,  1960)  e  all’esasperazione  delle ambiguità  sessuali  legate  al  romanzo.  D’altra  parte nelle centinaia di pellicole dedicate – o in cui appaiono – vampiri troviamo  di  tutto e possiamo analizzarle ed  interpretarle in maniera diversa a seconda del momento storico in cui appaiono.

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Anne Parillaud, ex Nikita, nel ruolo di una vampira “al servizio della legge” in Amore all’ultimo morso (Innocent Blood, 1992, di John Landis)

Se dopo  il  Nosferatu  di  Murnau si  passa  al  Vampyr  (L’etrange aventure de David Gray, 1932) di Carl Theodor Dreyer e al Dracula (1930) di Tod Browning interpretato da Bela Lugosi, ben presto il genere  si tinge delle caratteristiche di parodia o film  comico. Pensiamo a Il cervello di Frankenstein  (A.&C. Meet Frankenstein, 1948) diretto da Charles T. Barton  con  Gianni e Pinotto (Bud Abbott e Lou Costello), nonché nel ruolo del vampiro Bela Lugosi, per arrivare a Tempi duri per i vampiri  (1959)  di Steno, con Renato Rascel e Christopher Lee, attore  quest’ultimo interprete  di oltre 13 apparizioni vampiresche a cominciare da quella in Dracula il vampiro (Horror of Dracula, 1958,  di Terence  Fisher) in cui viene proposto anche Peter  Cushing,  nei panni  dell’antagonista  di  sempre, Van  Helsing.  Carriera  che continuerà  in  parallelo a quella del vampiro. Non  ultimo,  per comicità,  il  celebre Per favore non mordermi  sul  collo!  (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski, da lui  anche interpretato  (come “allievo” ammazzavampiri) assieme a Sharon Tate.  Doverosa  la  citazione di Boris  Karloff  nei  panni  del Vourdalak  (originario della Moldavia, Bosnia e Turchia, o  forse si  tratta del Vlkodlak serbo?) dall’ironico e rivelatore finale nell’ultimo episodio di I tre volti della paura (1963),  diretto da Mario Bava. Autore questo a cui si deve l’eccellente utilizzo nei  panni di vampire, redivive et similia, di Barbara Steele a partire  da  La maschera del demonio (1960)[5]. Il  summa  della satira si ritrova in Dracula, morto e contento (Dracula, Dead and Loving  it,  1995) di Mel Brooks, autore che  ha  affrontato con forme di parodia quasi tutti i generi cinematografici più noti.

Ma  il  “genere”  si  contamina ben  presto  anche  in  altre direzioni.  Prima la fantascienza. La “cosa” da un altro mondo (The Thing, 1951, di Christian Nyby) e il suo remake La cosa (The Thing, 1982, di  John  Carpenter);  I  vampiri dello spazio (Quatermass  II,  1957,  di Val Guest)  con  possessioni  “quasi” vampiresche e il “quasi” remake Space Vampires (Lifeforce, 1985, di Tobe  Hooper), dallo svolgimento non del tutto affine – da notare  la  sceneggiatura  di Dan O’Bannon, autore  anche di Il ritorno  dei morti viventi (1984) – per non  dimenticare  Terrore nello  spazio (1965, di Mario Bava) ed infine, meta zombi,  meta vampiri, i resuscitati di La notte dei morti viventi (The Night of the Living Dead, 1968, di George Romero) capostipite di una nuova serie dedicata ai redivivi.

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Una  altro grande sottogenere e rappresentato dalla commistione con i film di  arti  marziali  cino-giapponesi. L’incontro  vero e proprio con il versante europeo avviene in  La leggenda dei sette vampiri d’oro (The Legend of the Seven  Golden Vampires,  1975,  di Roy Ward Baker) tra Peter  Cushing  (il  più celebre  tra gli ammazzavampiri occidentali) e i guerrieri  orientali contro un’orda di vampiri di tutti i tipi (da Dracula a quelli  cinesi). Il film venne prodotto da una casa inglese, la Hammer[6] celebre per le produzioni seriali dell’orrore assieme alla Shaw  Brothers di  Hong  Kong,  specializzata in film  d’arti  marziali.  Ma  in Oriente il filone e ricchissimo di fantasmi-vampiro. Come, a puro titolo  d’esempio, in Storie di fantasmi cinesi (A Chinese Ghost Story,  1987, di Tsui Hark). Ultimo succedaneo occidentale  della serie  può essere considerato Buffy l’ammazzavampiri (Buffy, the Vampire Slayer, 1992, di Frank Rubel Kuzui) farsa  giovanilistica con eroina, Kristy Swanson, karateka imbattibile in lotta  contro una  banda  di vampiri, piuttosto scalcinati, capitanati da un ironico Rutger Hauer.

Intervista con il vampiro

Intervista con il vampiro (Interview with the Vampire, 1994), di Neil Jordan

Si  cambia quindi genere. Fra mode giovanilistiche, Ragazzi perduti (Lost Boys, 1987, di Joel Schumacher), discoteche,  Vamp (id.,  1986, di Richard Wenk con Grace Jones  versione  vampiro),  girovaghi,  Il  buio  si avvicina (Near Dark,  1988,  di  Kathryn Bigelow),  in  carriera,  La brillante  carriera  di  un  giovane vampiro  (I  Was a Teenage Vampire, 1987, di Jimmy  Huston) per arrivare  al capovolgimento del teorema. Il vampiro e buono,  gli altri  sono  cattivi, o perlomeno  cattivelli. Ecco  cosi Anne Parillaud, ex Nikita, nel ruolo di una vampira “al servizio della legge”  in Amore all’ultimo morso (Innocent Blood, 1992, di  John Landis) che affronta e sgomina una banda di gangster, mentre  Tom Cruise e Brad Pitt passano il secolo in Intervista con il vampiro (Interview with the Vampire, 1994, di Neil Jordan) menando strage di  vampiri  malvagi,  pur essendo anche loro  dediti  alla  vita “notturna”.

Specie mortale (Species, 1995, di Roger Donaldson

Specie mortale (Species, 1995), di Roger Donaldson

E con spirito libertario (nel senso che ci  prendiamo qualche  licenza)  possiamo  considerare  “vampira”  (cattiva o disinibita?) la creatura, geneticamente proveniente dallo spazio, protagonista della serie avente per capostipite Specie  mortale  (Species, 1995, di Roger Donaldson). Non si tratta forse di una caccia condotta da Michael Madsen  (moderno  ammazzavampiri) all’affascinante Natasha Henstridge,  un’aliena,  unica  della sua specie,  che  cerca  di riprodursi accoppiandosi con gli umani. Non e forse ciò che fanno i vampiri tradizionali? La risposta non può che essere  positiva.

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Van Helsing è una serie televisiva statunitense del 2016

A  questo  punto  possiamo chiederci  quali  siano  le caratteristiche cinematografiche  del vampiro. Vaghe,  nonostante i  luoghi  comuni. Quello letterario era ben  connotato.  Pallore, canini aguzzi, sessualità soffusa, sangue a volontà, la lotta fra il  bene  e  il male, fra la vita e la morte.  Nel  cinema  tutto rimane e tutto svanisce al sorgere del sole. Dal primo Nosferatu le  cose  sono cambiate. Tante volte. Ma qualcosa e  rimasta.  Il desiderio  della  vita. Come quando l’aliena di Specie  mortale, seduta a cavalcioni su uno scienziato che ucciderà di li a poco, pronuncia, toccandosi il ventre appena fecondato, la frase chiave della vicenda “Senti la vita che sta sorgendo”[7].

Nel nuovo capitolo che riguarda i cacciatori di vampiri, un film rappresenta il summa di tutti quelli sui cacciatori di vampiri, Van Helsing (id., 2004, di Stephen Sommers) sorta di citazione continua del genere, dei sottogeneri, e non ultimo dei metageneri, vedi l’irriverente e divertente citazione della serie completa di Agente 007, James Bond. Parallelamente anche i serial hanno generato un Van Helsing, una serie televisiva statunitense del 2016 ambientata ai nostri giorni in un mondo devastato da orde di vampiri a cui si oppongono i membri della famiglia Van Helsing, nipoti e pronipoti del leggendario protagonista del film.

La chiave  di lettura  della pressoché infinita serie di film di vampiri sta proprio qui, nel desiderio di vita.  Eterna, forse. Di mantenimento della propria, sicuramente. Certo vista come un fine da  perseguire con ogni mezzo. Cacciatori e cacciati, con ruoli che si invertono di battuta in battuta, in scontri sanguinosi e dall’esito incerto. Sembra quasi la vita. Quella quotidiana.

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Van Helsing (id., 2004) di Stephen Sommers

Note

[1] Questo saggio mi era stato commissionato per un volume sui vampiri una ventina d’anni or sono. Non venne pubblicato (il libro) e lo persi. Casualmente ripulendo il computer dopo un passaggio della memoria da uno precedentemente usato ho trovato alcuni file malconci di un word vetusto e quasi illeggibile. Ripulito è apparso un testo ancora attuale. Ovviamente la filmografia si ferma alle soglie del 2000, ma tutto il resto risulta corretto e utilizzabile. Revisionato e pubblicato.

[2] Sui  vari nomi attribuiti alle varie specie di vampiri vedi Domenico Cammarota, I vampiri, Fanucci, Roma, 1984, pag. 27-39.

[3] Peter Penzoldt, The Supernatural in Fiction, London,  Peter Neville, 1952.

[4] Tzvetan  Todorov,  La  letteratura   fantastica,   Milano, Garzanti, 1977 (edizione originale Introduction a la  literature fantastique, Editions du Seuil, 1970).

[5] Sul  cinema  di Mario Bava vedi a cura di  Giuseppe  Lippi  e Lorenzo  Codelli  le schede dei film in Fant’Italia,  Trieste, 1976.

[6] Vedi il saggio di Kim Newman La festa di sangue, nel  volume  curato da Emanuela Martini Hammer & dintorni, edito dal Bergamo Film  Meeting nel 1990. Sulla Hammer e soprattutto sulla figura “romantica” del vampiro si veda il saggio di Emanuela Martini “Il ballo  dei vampiri”, in Cineforum n. 321, febbraio  1993,  pag. 16-29

[7] Frase plausibile poiché l’incrocio genetico proveniente dallo spazio ha un metabolismo accelerato. In poche ore si compie la gestazione simil-umana che  richiede normalmente un periodo compreso fra le 38 e le 42 settimane.

Le applicazioni del metodo di Hjortsjö e del F.A.C.S. nell’ambito della sicurezza.

Introduzione

I vari sistemi di misurazione del movimento muscolare facciale sono stati elaborati per rispondere in maniera scientifica ad una serie di interrogativi, cioè se vi era una connessione tra le espressioni del volto, le posture del corpo e le caratteristiche di personalità, esperienza emotiva e processi comunicativi. I sistemi di misura codificati da Hjortsjö e poi da Ekman, Friesen ed Hager analizzano questi fattori  tenendo presente la difficoltà aggiuntiva di definizione del contenuto delle emozioni.

Le emozioni di base, quali sorpresa, paura, disgusto, rabbia, felicità, tristezza (e le successive, come disprezzo, vergogna, senso di colpa e imbarazzo) sono percepibili attraverso i cambiamenti di postura dei muscoli della fronte, delle sopracciglia, delle palpebre, delle guance, del naso, delle labbra e del mento. A questi si associano i movimenti del corpo.

Da Duchenne ad Izard esistono numerose metodologie per misurare i movimenti facciali che risultano dalla contrazione dei muscoli e della Action Coding System, risulta essere il più completo.

Le Action Units (unità d’azione) del FACS (derivate da quelle di Hjortsjö, di cui mantengono la stessa numerazione) coinvolte in un’espressione facciale sono descrittive dei movimenti dei singoli muscoli e solo in una fase successiva, osservandone le combinazioni, possiamo effettuare l’interpretazione delle emozioni espresse.

Queste tipologie di ricerca si suddividono in studi di misurazione, che forniscono una misurazione precisa (con unità di misura verificabili) delle modificazioni del volto, e studi di giudizio, che si basano sulle osservazioni del comportamento facciale, quindi sull’insieme delle informazioni veicolate dal viso come ad esempio il sistema Max di Izard. All’interno degli studi di misurazione troviamo sistemi di codifica, come il metodo di Hjortsjö e il FACS, che si basano sull’identificazione e la misurazione di elementi anatomici che concorrono alla formazione del movimento facciale. Questi metodi sono basati sull’identificazione dei modelli di movimento facciale associati alle emozioni di base e alle loro variabili.

La genesi di un sistema coerente fu lunga. Senza considerare i precursori (Duchenne), e i metodi concorrenti coevi (Hjortsjö, Ermiane e Gergerian) già nel 1971 Ekman, Friesen e Tomkins  avevano elaborato un primo strumento, il FAST, cioè Facial Affect Scoring Technique come approccio all’analisi del volto. Nel 1976 in un loro articolo Ekman e Friesen anticiparono la loro creazione con il nome di FAC – Facial Action Code descrivendone la genesi e anticipandone la composizione che diverrà reale solo due anni più tardi. Il sistema porterà il nome di Facial Action Coding System – FACS. Nel 2002 ne venne compilata una nuova edizione definitiva con l’apporto dell’opera di ricerca e redazione di Joseph Hager.

Il Facial Action Coding System FACS è il sistema di misura dei movimenti dei muscoli facciali creato da Ekman, Friesen e Hager, ed è il più utilizzato, sia in ambito scientifico che applicativo. Il FACS fu progettato con l’intento di individuare e catalogare le contrazioni dei muscoli facciali che modificano la fisionomia del volto. Per effettuare la rilevazione di specifiche espressioni facciali si indicano le unità d’azione coinvolte in quell’espressione. Si può definire anche la durata e l’intensità del movimento muscolare oltre ad eventuali asimmetrie laterali. Si possono inoltre determinare l’inizio dell’azione, la sua massima intensità, quando inizia a declinare e quindi termina.

Ekman, Friesen ed Hager individuarono oltre 10.000 differenti combinazioni di azioni muscolari. Data l’enorme mole di materiale solo una parte è stata analizzata per determinare i mutamenti più significativi prodotti nella configurazione della muscolatura del volto. Inoltre la ricerca si è soffermata sul significato di determinate combinazioni, sulla differenziazione dei singoli movimenti e sulla loro riproducibilità volontaria. Sulla scorta dei precedenti sistemi è stata perfezionata una metodologia descrittiva atta a misurare i movimenti facciali in rapporto all’attività prodotta dai singoli muscoli (anche parti di essi o combinazioni di vari muscoli).

Nel sistema FACS i muscoli possono essere indicati con il loro nome latino e con un valore numerico per ogni gruppo muscolare definito come Action Units, AU (Unità di Azione). Tale terminologia fu coniata da Ekman, Friesen e Hager per il loro sistema di codifica al fine di designare con maggior precisione i singoli movimenti e razionalizzare il processo di annotazione.

Nel manuale Ekman, Friesen e Hager hanno indicato con 44 AU (Action Unit) la muscolatura relativa alle espressioni facciali e con 14 AU (Action Unit) le varianti indicanti la direzione dello sguardo e l’orientamento del capo. Le divisioni in realtà sono molto più sottili. Ciò che trae in inganno è la suddivisione che non segue un ordine numerico, ma si basa su grandi raggruppamenti relativi alle parti anatomiche del volto. Abbiamo quindi una prima differenzazione fra Action Units (indicate come AU) e Action Descriptor (indicate come AD), cioè fra movimenti e indicazioni di movimento. Si aggiungono poi i codici di movimento di occhi e capo (indicate come (M), i codici di comportamento grossolano, ad esempio parlare o annusare (sono 9) indicati solo con un numero. Stessa procedura per i codici di visibilità dei movimenti (sono 5 anch’essi indicati solo con il numero), che possono essere temporaneamente coperti. A questi si possono aggiungere i numeri di AU mancanti, presenti in edizioni precedenti, ma poi condensati in un’unica AU, oppure utilizzati solo in particolari circostanze, come l’AU 3, esclusivamente nel BabyFACS di Harriet Oster rivolto a neonati e bambini nei primi anni di vita.

La codifica delle specifiche espressioni facciali è costituita dall’individuazione delle unità d’azione (AU) che formano  il movimento muscolare e quindi dall’elencazione delle stesse in ordine numerico crescente.Con il FACS si può indicare anche la durata di ogni AU (con un inizio, un apice e un punto di scomparsa), l’intensità di ogni unità d’azione (AU) su un certo numero di posizioni, ogni asimmetria bilaterale e ogni unilateralità. La scala di misura dell’intensità risulta composta da una serie di lettere A, B, C, D, E che si riferiscono all’intensità di un’unità d’azione e vengono poste subito dopo il numero dell’AU.

Carl-Herman Hjortsjö

Carl-Herman Hjortsjö

Aree di utilizzo relative

Il numero di Enti, professioni, singoli individui che possono beneficiare delle applicazione del sistema di riconoscimento del volto e di codifica del corpo sono estremamente elevati. Potremmo dire che qualsiasi attività connessa con le relazioni interpersonali ne trarrebbe beneficio. Vediamo alcuni grandi raggruppamenti, puramente indicativi, dell’applicazione del metodo, che possono essere agevolmente ampliati con una più minuta analisi del mondo del lavoro. Dal settore aziendale al coaching, dalle applicazione nello sport al settore sociosanitario, dal miglioramento della compliance, cioè la condivisione da parte del paziente delle indicazioni del medico,  alle attività di diagnosi e terapia nei campi della psicologia e psicoterapia, nella mediazione e nel counseling, nel settore dei viaggi, ospitalità, Hotel, vacanze, organizzazione eventi, nella formazione e l’istruzione. Nella cultura e nell’industria dello spettacolo troviamo ulteriori aree applicative, nella recitazione  teatrale e in quella cinematografica

Interrogatorio in Basic Instinct

Interrogatorio in “Basic Instinct”

Nell’analisi che proponiamo in questa sede la prima macroarea è quella giuridica, investigativa e della sicurezza. Innumerevoli le categorie interessate: la magistratura, gli avvocati, il settore del Law Enforcement (Forze dell’ordine), la sicurezza nazionale (servizi di sicurezza), la sicurezza privata, il controllo sull’immigrazione e alle frontiere, la vigilanza e il controllo in ambito aziendale, la metodologia dell’interrogatorio e dell’intervista classica o cognitiva.

Indubbia la validità nella negoziazione e nella mediazione giuridica civile e commerciale, ma anche, dove applicata, quella penale, dove la rapidità di percezione dei mutamenti di umore ed emozione gioca un ruolo fondamentale, il FACS permette una maggiore precisione nella fase di “familiarizzazione” con il cliente; si ottiene una rapida verifica del gradimento e vi è maggiore precisione nella fase di “chiusura”. Altrettanto nella valutazione dell’efficacia della proposta e nella costruzione del modello di trasmissione delle informazioni. Le relazioni umane e la capacità di “leggere” velocemente il nostro interlocutore favoriscono l’ottenimento di informazioni; altrettanto nelle relazioni di lavoro con i colleghi, e con i clienti. Infine ne beneficia di una migliore capacità di relazione interpersonale e scambio informazioni, il settore delle relazioni interpersonali. Amici, attività sociali, rapporti relazionali sociali, rapporti affettivi, innamoramento, mantenimento delle relazioni nel nucleo familiare, cura dei bambini. Comprendere gli altri, le emozioni degli altri, far comprendere le proprie, migliora la nostra vita, quella degli altri, riduce i conflitti migliora la società nel suo complesso.

Una metodologia per affrontare soggetti pericolosi

Nell’ambito psicologico delle forze di polizia si ritiene sia possibile identificare i “soggetti pericolosi” prima che essi compiano un’azione dannosa (o terroristica) e si possano prevedere le loro intenzioni osservandone movimenti ed espressioni del volto. Nell’aspetto complessivo di una persona si possono individuare sottili indizi significativi, sia sul piano emozionale che nel comportamento adottato. Questi indizi possono diventare visibili a tutti dopo una formazione adeguata, mentre è molto difficile riuscire a sopprimerli in quanto sono eseguiti inconsciamente anche da soggetti molto abili nel mascheramento, nonostante l’esperienza e  l’addestramento ricevuto.

Vari studi indicano che l’atto di commettere un delitto è associato a determinate emozioni. Nel corso di un reato, o nella sua preparazione, alcuni processi emotivi hanno alta probabilità di essere presenti negli “autori”, ad esempio le emozioni di eccitazione, ansia o rabbia (Katz, 1988, Cusson, 1993; Canter e Ioannou, 2004). Le risposte emotive del colpevole di un reato sono influenzate da diversi fattori, tra cui la sorveglianza, gli allarmi, e le conseguenze di tale atto. Pensando a questi fattori un “criminale” può diventare timoroso, o eccitato, e di conseguenza cambiare il proprio comportamento fisico e facciale.

Un altro fattore influente sul cambiamento dello stato emotivo è determinato dal possesso di un’arma. Hales, Lewis e Silverstone (2006) dimostrarono, in una ricerca condotta in Inghilterra, che i soggetti che trasportano un’arma da fuoco illegale tendono a variare i loro stati emotivi. Attraverso interviste individuarono le tipologie di risposte emotive durante il porto di un’arma da fuoco.  I dati forniti indicarono che il trasporto di un’arma illegale è associato ad emozioni di sicurezza, empowerment e paura. La valutazione cognitiva di fattori come la presenza di sorveglianza e possibili sanzioni possono indurre il timore di essere scoperti. Il possesso di un’arma attiva una combinazione di emozioni come la paura di essere scoperti, il senso di onnipotenza, la sensazione di sicurezza derivante dall’idea che nessuno può aggredirci. Inoltre, in letteratura, è dimostrato che tali emozioni possono avere effetti non valutabili consapevolmente, ma avere evidenti forme motorio gestuali ed espressive. Le emozioni influiscono notevolmente sui mutamenti del linguaggio del corpo (Ekman e Friesen, 1967). Tale “comportamento non verbale” può essere più difficile da nascondere di un’arma e può tradire una persona che tenta di nascondere queste emozioni (Blechko, Darker, Gale, 2009).

Secondo Montepare, Goldstein, e Clausen (1987), de Meijer (1989), Wallbott (1998) e Hadjikhani e de Gelder (2003), il linguaggio del corpo (ad esempio, l’andatura o la modifica della postura) potrebbe riflettere rilevanti tendenze all’azione collegate a stati emotivi.

Osservando il comportamento non verbale si possono ottenere utili conoscenze relative alle intenzioni degli altri, e quindi prendere decisioni in merito alle azioni successive. Secondo Meier-Faust (2002) il linguaggio del corpo umano può essere diviso in due categorie: informazioni strutturali (ad esempio, i tratti del viso, corpo a costruire) e le informazioni cinetiche (ad esempio le espressioni facciali, gesti, movimenti del corpo, o la postura). Le informazioni strutturali possono dirci il tipo di emozione provato. Mentre i movimenti del corpo e la postura indicano l’intensità delle emozioni. Questa ipotesi si basa sulle ricerche di Argyle, Cook, Tomkins, Izard e soprattutto Ekman. Ekman e Friesen (1969) hanno studiato la relazione fra le espressioni facciali e le emozioni. Sopprimendo l’emozione provata, e raffigurando sul volto un’altra emozione falsa, appaiono le microespressioni di quella vera, completa, ad alta intensità, per un tempo compreso fra 1/5 e un 1/25 di secondo, oppure espressioni soffocale (solo una parte dell’emozione, o ancorsa espressioni sottili (espressione completa, ma di intensità molto bassa). Queste espressioni sfuggono al controllo cosciente, smascherano la menzogna.

Interrogatorio in Lie to Me [tratto da

Interrogatorio in “Lie to Me”

Applicazioni nel campo della sicurezza

Ekman sovraintende, negli Stati Uniti, alla formazione del personale del Transportation Security Administration (TSA). Questo tipo di addestramento ha ricevuto l’attenzione da parte del settore della sicurezza a causa della minaccia del terrorismo. Un esempio di come queste tecniche sono state applicate al controllo dei passeggeri è il programma “Screening of Passengers by Observation Techniques (SPOT)[1]”, utilizzato nel settore del trasporto aereo.  Si basa sul rilevamento di individui che mostrano un comportamento potenzialmente pericoloso. Piuttosto di cercare l’oggetto fonte di minaccia (un’arma nascosta), è più facile l’identificazione del comportamento non verbale di minaccia. Negli aeroporti degli Stati Uniti, e in alcuni della Gran Bretagna, vi sono delle squadre di sicurezza il cui compito è osservare i passeggeri mentre stanno entrando in aeroporto, al controllo bagagli o in fila ai controlli di sicurezza. Monitorano i segni di potenziale minaccia, come l’abbigliamento appropriato (ad esempio, un cappotto pesante in una giornata calda), così come i segni più sottili, come i gesti, le conversazioni e le espressioni facciali.  Sono in grado di eseguire la scansione dei passeggeri per individuare le reazioni fisiche e psicologiche involontarie che possono indicare lo stress, la paura o l’inganno. Il personale deve riconoscere le emozioni nascoste che possono manifestarsi nel movimento del corpo, nell’andatura e nelle espressioni facciali. Il programma di controllo “Screening of Passengers by Observation Techniques (SPOT)” è stato applicato negli USA dal 2008. Sono stati impiegati 3.000 Behavior Detection Officers (BDO) in 161 aeroporti a livello nazionale. I BDO hanno una “baseline” del comportamento normale in aeroporto e cercano i comportamenti che vi si differenziano. Complessivamente sono state  identificate attività illegali che hanno portato ad oltre 1.800 arresti nei sistemi di trasporto degli Stati Uniti.

Ekman ha inoltre formato gli operatori di varie agenzie federali come TSA, Customs and Border Protection, CIA, FBI, su come osservare le espressioni facciali di ansia, paura e inganno. I servizi segreti degli Stati Uniti che proteggono il presidente, utilizzano tecniche simili per individuare chi porta un’arma nascosta prima che possa utilizzarla (Remsberg, 2007). Abbiamo visto che gli individui armati utilizzano modelli comportamentali ed emozionali simili, che li contraddistinguono dalle persone disarmate. Essere consapevoli dei segnali di minaccia, ed essere capaci di individuarli, permette di eliminare l’effetto della sorpresa in un intervento efficace che precede il verificarsi dell’evento dannoso.

 

Bibliografia indicativa

Blechko, A., Darker, I.T., Gale, A.G., 2009. The Role of Emotion Recognition from Non-Verbal Behaviour in Detection of Concealed Firearm Carrying. Proceedings of the Human Factors and Ergonomics Society, 53rd Annual Meeting -2009, San Antonio, USA, pp. 1363-1367.

Canter, D.V., Ioannou, M. (2004). Criminals’ Emotional Experiences During Crimes. International Journal of Forensic Psychology, 1 (2), 71-81.

Cusson, M. (1993). Situational Deterrence: Fear During the Criminal Event. Crime prevention studies, 1, 55-68.

Ekman, P. (1965). Differential Communication of Affect by Head and Body Cues. Journal of Personality and Social Psychology, 2, 725-735.

Ekman, P. & Friesen, W.V. (1967). Head and Body in the Judgment of Emotion: A Reformulation. Perceptual and Motor Skills, 24, 711-724.

Ekman, P. & Friesen, W.V. (1969). Nonverbal Leakage and Clues to Deception. Psychiatry, 32, 88–105.

Ekman, P. & Friesen, W.V. (1974). Detecting Deception From the Body or Face. Journal of Personality and Social Psychology, 29, 288–298.

Hales, G., Lewis C., and Silverstone D. (2006). Gun Crime: the Market in and Use of Illegal Firearms. Home Office Research Study 298.

Hadjikhani, N. & de Gelder, B. (2003). Seeing Fearful Body Expressions Activates the Fusiform Cortex and Amygdala. Current Biology, 13, 2201-2205.

Katz, J. (1988). Seduction of Crime: Moral and Sensual Attractions in doing Evil. USA: Basic Books.

Meier-Faust, T. (2002). The Importance Non-verbal Communication in Diagnostic Assessment in the Traffic Psychological Exploration. Paper presented at BDP congress for traffic psychology 2002, University of Regensburg.

Meijer, M. de (1989). The Contribution of General Features of Body Movement to the Attribution of Emotions. Journal of Nonverbal Behaviour, 13 (4), 247-269.

Montepare, J. M., Goldstein, S.B. and Clausen, A. (1987). The Identification of Emotions from Gait Information. Journal of Nonverbal Behaviour, 11 (1), 33-43.

Remsberg, C. (2007). Officer Survival. Spotting Armed Suspects. The Police Marksman, July/Augustus, 16-19.

The Sunday Times (2006). ‘Spot’ teams to spy on passengers. Business front of alleged link man. Retrieved August 20, 2006.

Wallbott, H.G. (1998). Bodily Expression of Emotion. European Journal of Social Psychology, 28, 879-896.

[1]  “Screening of Passengers by Observation Techniques (SPOT)” è il programma di formazione sviluppato da Ekman in collaborazione con Rafi Ron, responsabile della formazione degli operatori della sicurezza dell’ Israeli Airport Authority. E ‘stato introdotto dal Transportation Safety Authority (TSA) negli Stati Uniti e dalla British Aircrafts Authority (BAA) in Inghilterra. Il programma si propone di utilizzare tecniche di osservazione per individuare le persone che necessitano di un controllo supplementare sulla base di comportamenti insoliti, ansiosi o spaventati espressi da passeggeri ai punti di controllo.

 

Emozioni e tecnologia

Le emozioni permeano la nostra vita. Anche quando non vorremo farlo rispondiamo ad uno stimolo esterno con un’emozione.

Un grosso cane ci ringhia. Abbiamo paura.
Una persona ci porta un regalo. Siamo felici.
Ci arriva la vincita di una lotteria. Siamo sorpresi.
Lungo la strada calpestiamo qualcosa di molliccio, e guardando la scarpa imbrattata riconosciamo il prodotto. Proviamo disgusto.
Dal giornalaio ci portano via sotto il naso l’ultima copia di un libro in promozione assieme al quotidiano che tanto desideravamo. Proviamo rabbia.
Le vacanze finiscono. Diventiamo tristi.
Pensiamo alla socia della nostra impresa che è scappata con i soldi della cassa, proviamo disprezzo.
Queste sono le sei emozioni (+ una), cioè “famiglie” di emozioni confermate negli studi di molti ricercatori come Landis (1924), Frois Wittmann (1930), Fulcher (1942), Hjortsjö (1969), Ermiane e Gergerian (1978), Izard (1983), Ekman, Friesen e Hager (2002).
La settima emozione, il disprezzo,  compare verso i due anni di vita, mentre le altre sono presenti dalla nascita. Per cui, riassumendo, le emozioni sono biologiche, universali e uguali per tutti.
Come si manifestano? Nel volto, nei movimenti del corpo, nell’intensità dell’espressione, nel linguaggio.
Se vogliamo approfondire l’argomento, e magari scoprire quando qualcuno ci mente, esprime un’emozione falsa, vuole danneggiarci, o l’opposto, è sincero e ci aiuta volentieri, dobbiamo studiare i manuali tecnici compilati su base sperimentale dagli studiosi citati.  Successivamente visionare i video di ciò che ci interessa al rallentatore per percepire i movimenti muscolari e quindi riconoscere le emozioni espresse e verificare la loro congruenza con il discorso o la situazione.
Da lunghi anni la sperimentazione si è spostata sulla possibilità di un riconoscimento automatico, computerizzato, senza l’intervento umano.
Le attuali linee di sviluppo dei progetti connessi sono sostanzialmente tre: prodotti per la ricerca, per la sicurezza, per l’intrattenimento ludico.
Nel primo caso il prodotto di punta è FaceReader™7.0 – software per la lettura automatica delle espressioni facciali – prodotto dalla olandese Noldus.  Il programma si basa su una griglia virtuale di oltre 500 punti, che si posizione sopra il volto umano. Un algoritmo “legge” gli spostamenti dei gruppi di punti e ipotizza la percentuale di probabilità che si tratti di un’emozione.

La schermata del programma FaceReader della Noldus [tratta da eyeonmedia.com.mx]

La schermata del programma “FaceReader” della Noldus 

Quali sono i limiti del software?
Il bisogno di una forte illuminazione, per permettere alla videocamera del computer di riprendere in tempo reale, la posizione frontale del soggetto, man mano che si accentua un angolo di spostamento del volto il software diminuisce la probabilità di riconoscimento, ed infine la campionatura delle stringhe di codifica che sono solo quelle base per ogni emozione e non tengono conto delle innumerevoli varianti.
Analogamente l’Università statunitense di Rochester ha sviluppato un algoritmo che analizza 12 caratteristiche del linguaggio, fra cui tono e volume, cercando di identificare le sei emozioni fondamentali, al

Aereoporto di Tel Aviv dove si usa il metodo SPOT

Aeroporto di Tel Aviv dove si usa il metodo SPOT

momento con una probabilità dell’81%.
Nel campo delle applicazioni nella sicurezza negli Stati Uniti la formazione del personale del Transportation Security Administration (TSA). Questo tipo di addestramento ha ricevuto l’attenzione del settore della sicurezza a causa della minaccie del terrorismo. Un esempio dell’applicazione di queste tecniche è il programma “Screening of Passengers by Observation Techniques (SPOT)[1]”, utilizzato nel settore del trasporto aereo.  Si basa sul rilevamento di individui che mostrano un comportamento potenzialmente pericoloso all’interno degli scali aeroportuali. Il programma di controllo “Screening of Passengers by Observation Techniques (SPOT)” è stato applicato negli USA dal 2008. Sono stati impiegati 3.000 Behavior Detection Officers (BDO) in 161 aeroporti a livello nazionale. I BDO hanno una “baseline” del comportamento normale in aeroporto e cercano i comportamenti che vi si differenziano.

Infine nel settore dell’intrattenimento abbiamo un nuovo software dell’agosto 2014 per Google Glass che aiuta ad identificare il sesso, l’età e lo stato emotivo di una persona.
Questa app si chiama Glassware ed è stata prodotta dall’Istituto Fraunhofer per Integrated Circuits che ha adattato il suo motore di riconoscimento facciale per i Google Glass, gli occhiali tecnologici di Google.
L’applicazione SHORE di Glassware è infatti in grado di elaborare il flusso video raccolto dalla telecamera integrata negli occhiali. La tecnologia usata ha richiesto un lungo sviluppo e utilizza una libreria di dati costruiti sul linguaggio di programmazione C++ per analizzare il volto umano. Il programma permette di comprendere se il soggetto è felice o triste, maschio o femmina, giovane o vecchio.
Tutte queste applicazioni comportano inevitabilmente un’intrusione nella privacy del cittadino. Di questo parere è Joseph Hager, il più giovane degli ideatori del FACS (Facial Action Coding System). Tanto da rifiutarsi,  per protesta, di volare su qualsiasi aereo per non incorrere nei sistemi di riconoscimento facciale delle emozioni, automatici o umani,  che considera lesivi alla vita personale.
Di parere opposto Paul Ekman, che invece è ideatore o collaboratore in tutte queste, e in altre discutibili, operazioni.
Il problema non si pone tanto da un punto di vista tecnico, risolvibile probabilmente con un aumento di punti nelle griglie, di soggetti nei database e di angoli di movimento, ma se la lettura delle nostre emozioni debba rimanere un elemento  privato o essere utilizzata nelle forme più invasive da enti privati per incrementare i loro vantaggi e profitti.

“Screening of Passengers by Observation Techniques (SPOT)” è il programma di formazione sviluppato in collaborazione con Rafi Ron, responsabile della formazione degli operatori della sicurezza dell’ Israeli Airport Authority. E ‘stato introdotto dal Transportation Safety Authority (TSA) negli Stati Uniti e dalla British Aircrafts Authority (BAA) in Inghilterra. Il programma si propone di utilizzare tecniche di osservazione per individuare le persone che necessitano di un controllo supplementare sulla base di comportamenti insoliti, ansiosi o spaventati espressi da passeggeri ai punti di controllo.”