Vampiri al cinema e dintorni

VAN HELSING, Hugh Jackman, Kate Beckinsale, 2004, (c) Universal

Van Helsing (id., 2004), di Stephen Sommers con Hugh Jackman e Kate Beckinsale

A lei piacerebbe passare quattrocento anni vestito come un capocameriere?
Amore al primo morso (Love at First Bite, 1979, di Stan Dragoti)

La continua mutazione del vampiro[1]

Il  “vampiro” e indubbiamente un fenomeno culturale.  Questa figura e talmente diffusa in tutti i luoghi e le epoche da divenire  una costante dei processi culturali. In alcuni  periodi storici  il  “soggetto  vampiro” rimane  un  po’ discosto, nelle “tenebre”, per poi riemergere alla “luce” con tutta la sua forza.

Attualmente – non a caso ci troviamo a ridosso del passaggio del millennio – la situazione politica, sociale ed economica “sembra” (anche se in realtà si tratta di pura apparenza) in fase di crisi e mutamento. Periodo quindi ideale per il risorgere di credenze  e  miti che  affondano  le  loro  origini  nell’irrazionale. L’elemento scatenante del fenomeno attuale, che ha periodi di latenza alternati ad altri   manifesti,  e   stata   una   produzione cinematografica. Sull’onda del successo internazionale avuto  dal film  di  Francis Ford Coppola, Dracula (Bram  Stoker’s  Dracula, Usa,  1992)  – rivisitazione del mito,  interpretata  con  guizzo personalistico  dal  regista autore della saga del Padrino  (The Godfather, 1972) – sono stati prodotti saggi,  rappresentazioni teatrali, convegni, nuove interpretazioni del fenomeno. Infine il tema  del vampiro ha nuovamente popolato gli schermi  del  cinema con nuove pellicole. Produzione in costante aumento.

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La maschera del demonio (1960) diretto da Mario Bava con Barbara Steele

Le origini

Il  mito del vampiro affonda le radici nelle  prime  civiltà mediterranee ed orientali, in quelle classiche, percorre tutto il Medio Evo per arrivare ai nostri giorni.

La  derivazione del vampiro “moderno” e abbastanza nota.  Il 15  giugno 1816 nella villa Diodati a Ginevra si riunì un  gruppo di amici, scrittori, Byron, Shelley, sua moglie Mary e  Polidori. Si sfidarono, per gioco, nello scrivere un racconto  dell’orrore, ognuno  diverso  dall’altro.  Mary  Shelley  scrisse  il famoso Frankenstein e Byron – altri indicano invece come autore Polidori – la celebre novella The Vampire, capostipiti entrambi del genere horror. L’ulteriore codificazione della figura del vampiro si  ebbe nel 1897 con  l’uscita del romanzo  di  Bram  Stoker  Dracula. Dopodiché   le quotazioni della letteratura dell’orrore si impennarono, facendo sfornare agli autori del genere romanzi  su romanzi di varia qualità.

Ma, fra tanti nomi, credenze, spicchi d’aglio, crocefissi  e raggi  di sole, il mito del “succhiatore di sangue”,  antecedente alla  moderna  letteratura dell’orrore, si  perde  nelle  brumose lande di qualche nordico paese dell’est europeo. Dracula – Drakul o Drtakul nella grafia originale – infatti, il vampiro più  noto, aveva  come  campo d’azione la Moldavia e le zone  più  orientali della Romania. Narra la leggenda che dovesse spostarsi – era  tra l’altro un vampiro-demone – portando con se la propria  bara,  e durante  le  apparizioni  lasciasse  le  proprie  vesti  in  tale contenitore.  Per  fermarlo si dice che bastasse sottrargli l’abbigliamento, abbandonato nella tomba momentanea.

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Nosferatu (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922) di Friedrich Wilhelm Murnau

Nosferatu, noto per aver popolato  con la sua presenza anche l’omonimo  film  di  Friedrich Wilhelm  Murnau  (Nosferatu,  eine Symphonie  des  Grauens,  1922)  e il  remake  girato  da  Herzog (Nosferatu,  Phantom der Nacht, 1978), prediligeva  la  Valacchia oltre  alla sempre apprezzata Romania. Aveva altri nomi, tra  cui Moroi  che significa “non morto”, e per diventarlo la  condizione principale era, ovviamente, di essere morti, possibilmente con  i capelli  rossi. Per eliminarlo bisognava inchiodarlo  nella  bara con un ramo d’abete, quindi bruciare tutto.

 Ma se, anziché compiere una panoramica in giro per il  mondo – che riserverebbe episodi “gustosi”, come i vampiri cinesi,  tra cui  Ch’Ing  Shi, essere orrendo dal volto pallido,  con  capelli verdi  incolti, occhi rossi e sguardo crudele – ci  spostiamo  in regioni   più  vicine  a  noi,  osserviamo   una   concentrazione particolarmente  elevata  di vampiri nelle  terre  che  formavano l’ormai disciolta repubblica della Yugoslavia.

Il  Blautsauger,  originario della Bosnia-Erzegovina,  e  un morto-vivente  privo di scheletro, tutto ricoperto di pelo, con grandi occhi infossati di topo. Si dice che debba portare con  se parte  della terra in cui e stato sepolto, con la quale  diffonde il  vampirismo  fra coloro che dormono.  Per  arrestarne  l’opera bisogna  disseminare la sua tomba di fiori di  biancospino,  che, cosi continua la superstizione, per oscuri motivi sarà  costretto a raccogliere. Al sorgere dell’alba si troverà all’aperto, dove i raggi del sole lo dissolveranno.

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In Dalmazia invece circola il Kuzlak o Kuzlai. Vampiro bimbo che,  invece  del  latte, succhia il sangue.  Un  po’  spiritello matacchione  si diletta nei “fenomeni paranormali”, come  oggetti spostati,  mobili volanti, ecc. Anche qui per eliminarlo  occorre un paletto appuntito di biancospino, con il quale trapassarne  il cuore, meglio se tenuto in mano da un francescano. Stesso  metodo per  il vampiro dell’Istria, lo Strigon, che vaga nottetempo  per casolari  e  villaggi, aggredendo bimbi e donne,  anche  solo  in forma  sessuale.  Teme  i  Kresniki,  cacciatori  di  vampiri   e licantropi,  “nati con la camicia” – la placenta – un po’  come  i Benandanti friulani che, fra il cinque e seicento, proteggevano campi, raccolti e popolazione da streghe e demoni.

Un po’ più giù, verso la Serbia si aggira il Mulo, che deriva da  uno zingaro assassinato o da un bimbo  morto  prematuramente. Beve  il vino oltre al sangue (come dice un noto  proverbio).  E’ sempre ben vestito, anche se predilige il colore  bianco. Può  trasformarsi  in oggetti e vegetali. Infine, la  sua  specialità: rapisce  le belle  ragazze, le mette a  bollire  tutte  nude  in pentoloni  d’acqua, per poi disossarle rendendole cosi della sua stessa consistenza. Esiste, anche in questo caso, l’ammazzavampiro specifico, il Dhamphir, che con riti magici  può batterlo e distruggerlo.  Sempre in Serbia, terra ricca di mostri e vampiri, si trova il Vlkodlak, maschio trentenne,  dall’aspetto rubizzo e “sanguigno”. La sua attività e ciclica, della durata di sette  anni.  Poi  vi e un periodo  di  latenza,  utilizzato  per spostarsi  in un’altro territorio “vergine”,  dopodiché  riprende per un altro periodo settennale. Tra le varie doti necessarie per divenire vampiro e richiesta la qualifica di spergiuri, assassini e,  inoltre,  di  aver avuto rapporti  sessuali  con la propria madrina.  E’ possibile trasformarsi nell’abitatore della notte anche  in  seguito  al  morso  di un  lupo  mannaro  o  nel  caso particolare  in cui ci si sia  cibati di carne contaminata da  un licantropo. Per  distruggerlo  bisogna  tagliargli  i   piedi, piantargli   un  chiodo  nella  fronte,  poi  infiggere il sempre presente  paletto di biancospino nell’ombelico, quindi coprire  le  zone pelose del non-morto con pezzi  di  stoppa,  ed infine  dare  fuoco a tutto quanto con le candele  usate  per  la veglia   funebre   del  “bevitore   di   sangue”.   Un’operazione indubbiamente complessa.

Per favore non mordermi sul collo! (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski

Per favore non mordermi sul collo! (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski

Anche la Croazia ha il suo “mostro” originale,  il  Pjwika, che oltre a comportarsi come un normale vampiro, necessita di una metodologia   particolare  per  la  sua   eliminazione. Bisogna tagliargli la testa e infilarla fra le sue gambe  (eventualmente, se ciò non e possibile, in seconda scelta, fra le braccia).

E  in  Italia?

Oltre ai classici vampiri,  che  ritroviamo provenienti dal vicino confine slavo, sembra non  vi  sia  una caratterizzazione   autoctona.  Il  discorso  pero  muta  se   ci soffermiamo   sulle  donne.  Sembrerebbe infatti  che  in  questa “specie” la casistica “demoniaca” sia più ricca. La   derivazione   e  classica,  proveniente dalle Lamie dell’antica Grecia, presenti nella mitologia come vampiri, spesso sotto  sembianze di uccelli, che succhiano il sangue agli  uomini  mentre  dormono.  Da  qui  si  trasferiscono nella Roma antica prendendo il nome di Striges o Mormos, continuando a compiere  le stesse  azioni  di notturne dissanguatrici. Non a  caso  venivano indicate,  pure  con  il  nome  di  Striges,  le  cortigiane  dai prorompenti  costumi sessuali, quasi a sottolineare un  parallelo con i significati simbolico – sessuali del vampirismo[2].

Sessualità e delitto

Ma  quali  sono  i  motivi per cui si  crea  la  figura  del vampiro?  Esistono  a  chiarimento  alcuni  casi di vampirismo documentato in tempi moderni, e quindi confrontabili  con  le lontane credenze,  che permettono di  risalire  all’origine del fenomeno.

La  contessa  Erszebet Bathory faceva il  bagno  nel  sangue delle  giovani a cui aveva fatto tagliare la gola, ne uccise più di  600,  ritenendo  che  la sua  pelle  beneficiasse  di  queste immersioni. Non era “propriamente” una vampira, anche se vi erano parecchi  punti  di  contatto  tra  le  sue  pratiche  e   quelle specificatamente vampiriche.sangueelarosadvd

Il più noto e sicuramente Peter Kurten, nato in Germania nel 1883.  Dalle sue gesta vennero tratti due noti film M, il  mostro di  Dusseldorf (M, 1931) di Fritz Lang, e La belva di Dusseldorf (Le  vampire  de Dusseldorf, 1965) di Robert Hossein. A  13  anni aveva  tentato di violentare le sue coetanee a scuola,  uccidendo anche due bambini. Fra i 17 e i 43 uccise altre tre volte  tentando altri sei omicidi. Ma fu solo nel 1925 che inizio la  catena di delitti che lo rese famoso. Dieci omicidi, quattro tentativi di omicidio, 14 aggressioni, diciotto incendi. Di notte girava  con un’ascia e dei grossi coltelli che utilizzava per placare la  sua sete di sangue, bevuto direttamente dal collo delle sue  vittime. Inoltre  abusava sessualmente dei cadaveri delle bambine  da  lui uccise.

Non  era da meno Vincenzo Verzeni, nato in Italia nel  1849. Uccise due donne, unicamente per poterne bere il sangue.  Ciò gli procurava  un  grande  piacere,  superiore  a  quello sessuale. Dichiaro  al  processo “strangolare le donne mi dava  un  piacere incredibile, accompagnato da vere e proprie erezioni seguite  da uno sfogo completo […] non mi e mai venuto in mente di guardare i genitali  di una donna; mi bastava stringere loro il collo e succhiare il loro sangue”.  Ma anche la Gran Bretagna ebbe il suo vampiro  sotto  le spoglie di John Haigh, giustiziato nel 1949.

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Van Helsing è una serie televisiva statunitense del 2016

Uccise nove volte allo scopo di bere il sangue delle vittime. Nel suo memoriale scrisse: “le ho praticato un’incisione alla gola  e ho  bevuto un bicchiere di sangue. Portava una catenina  con  una croce al collo;  provai  un  godimento  straordinario  nel calpestarla”. Un’azione simile a quella  dei vampiri letterari o cinematografici di tutto il secolo.

Anche in tempi recenti si sono verificati altri episodi simili. A Rio  de Janeiro e stato arrestato Marcello Costa Andreade di 25 anni  che ha ucciso, nel solo 1991, 14 bambini, sodomizzandoli e bevendo il loro sangue, e dall’inizio della sua “carriera”  almeno  80.  E’ stato soprannominato il “Vampiro di Rio”.

Appare  chiaro  che le connessioni fra  sessualità  distorta (dal comportamento sociale,  da  esperienze precedenti, da patologie preesistenti, ecc.) e “desiderio” del sangue sono molte e fondamentali. Analogamente la costruzione del “mito”  vampirico si osserva in periodi di turbamenti sociali esasperati  (potremmo dire  perciò  molto  spesso).  Un ultimo  caso,  descritto  dallo psichiatra  Frank Caprio – nel suo trattato Omosessualità  della donna (1961)  –  appare illuminante: “avevo  notato  anche che arrivava  allo stato di eccitazione sessuale mordendo il collo e le spalle della compagna durante la masturbazione reciproca. Amava  mordere e succhiare la sua amica fino a  provocarle  delle ecchimosi.  Un giorno che la sua compagna si era tagliata un  dito aprendo  una  scatola  di conserve, ella le  aveva  succhiato il sangue dicendole che la sua saliva era antisettica e guariva  le ferite. La  malata parlo a lungo dell’eccitazione sessuale  che aveva  provato succhiando il sangue dell’amica. Ciò prova come a volte l’eccitazione sessuale sia legata al cosiddetto vampirismo”.

Space Vampires (Lifeforce, 1985, di Tobe Hooper

Space Vampires (Lifeforce, 1985), di Tobe Hooper

Questo ci porta a Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu,  che, accanto  al Dracula di Bram Stoker, risulta essere il  testo  più visitato dalle trasposizioni cinematografiche. Film che divengono esempi  per dimostrare – in versioni più o meno fedeli  al  testo originario – gli elementi fondamentali del fascino, dell’uso e della strumentalizzazione della figura del vampiro.

Carmilla seduce le sue vittime scegliendole tra le fanciulle più  belle che popolano l’area geografica delimitata dal  massimo spostamento consentito  dall’ubicazione  della cripta – rifugio (ritorno  al ventre materno) in cui deve “rientrare”  ogni  sera.

Duplice  quindi  la  funzione simbolica: il  non  distacco  dalla madre,  un  legame  inibitore, e una  sessualità affiorante prepotentemente, ma inibita nel suo realizzarsi dal “sangue”  (e dalla figura  parentale) assunto quale valore di vita. Parallelamente,   altro  elemento  interpretativo, esiste una funzione  sociale  del soprannaturale[3] “per  molti  autori  il soprannaturale  non era che un pretesto per descrivere  cose  che non avrebbero mai osato menzionare in termini realistici”. Questa interpretazione  vista soprattutto[4] come  trasgressione  delle regole sociali  e  non  indirizzata  ad   una visione del soprannaturale. Nel caso specifico di Carmilla come  accettazione dell’omosessualità femminile, cosi come più in generale la figura del  vampiro richiama esplicitamente ad una promiscuità  sessuale posta in una luce ambigua di desiderio-maledizione.

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Space Vampires (Lifeforce, 1985), di Tobe Hooper

Immagini e movimento

Nel cinema il fattore determinato dal binomio omosessualità femminile – vampiri  diviene  molto evidente. Il  regista  spagnolo Jesus Franco intitola addirittura un film Vampyros lesbos  (1970, con  Soledad  Miranda), ma pensiamo anche a Vampiri  amanti  (The Vampire Lovers, 1970) di Roy Ward Baker che descrive gli  “amori” tra  Ingrid  Pitt  (Carmilla) e Pippa  Steele,  o  alla  Carmilla interpretata da Alexandra Bastedo in Un abito da sposa macchiato di sangue (La novia ensangrentada, 1972) di Vincente Aranda.  Non da  meno in Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger, 1983)  di Tony Scott, in cui assistiamo ai saffici e sanguinari piaceri tra Catherine  Deneuve e Susan Saradon. Risale agli anni sessanta  la prima  versione cinematografica di Carmilla, lo stereotipo  della vampira  lesbica, grazie a Roger Vadim con il suo Il sangue e  la rosa  (Et  mourir  de plasir,  1960)  e  all’esasperazione  delle ambiguità  sessuali  legate  al  romanzo.  D’altra  parte nelle centinaia di pellicole dedicate – o in cui appaiono – vampiri troviamo  di  tutto e possiamo analizzarle ed  interpretarle in maniera diversa a seconda del momento storico in cui appaiono.

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Anne Parillaud, ex Nikita, nel ruolo di una vampira “al servizio della legge” in Amore all’ultimo morso (Innocent Blood, 1992, di John Landis)

Se dopo  il  Nosferatu  di  Murnau si  passa  al  Vampyr  (L’etrange aventure de David Gray, 1932) di Carl Theodor Dreyer e al Dracula (1930) di Tod Browning interpretato da Bela Lugosi, ben presto il genere  si tinge delle caratteristiche di parodia o film  comico. Pensiamo a Il cervello di Frankenstein  (A.&C. Meet Frankenstein, 1948) diretto da Charles T. Barton  con  Gianni e Pinotto (Bud Abbott e Lou Costello), nonché nel ruolo del vampiro Bela Lugosi, per arrivare a Tempi duri per i vampiri  (1959)  di Steno, con Renato Rascel e Christopher Lee, attore  quest’ultimo interprete  di oltre 13 apparizioni vampiresche a cominciare da quella in Dracula il vampiro (Horror of Dracula, 1958,  di Terence  Fisher) in cui viene proposto anche Peter  Cushing,  nei panni  dell’antagonista  di  sempre, Van  Helsing.  Carriera  che continuerà  in  parallelo a quella del vampiro. Non  ultimo,  per comicità,  il  celebre Per favore non mordermi  sul  collo!  (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski, da lui  anche interpretato  (come “allievo” ammazzavampiri) assieme a Sharon Tate.  Doverosa  la  citazione di Boris  Karloff  nei  panni  del Vourdalak  (originario della Moldavia, Bosnia e Turchia, o  forse si  tratta del Vlkodlak serbo?) dall’ironico e rivelatore finale nell’ultimo episodio di I tre volti della paura (1963),  diretto da Mario Bava. Autore questo a cui si deve l’eccellente utilizzo nei  panni di vampire, redivive et similia, di Barbara Steele a partire  da  La maschera del demonio (1960)[5]. Il  summa  della satira si ritrova in Dracula, morto e contento (Dracula, Dead and Loving  it,  1995) di Mel Brooks, autore che  ha  affrontato con forme di parodia quasi tutti i generi cinematografici più noti.

Ma  il  “genere”  si  contamina ben  presto  anche  in  altre direzioni.  Prima la fantascienza. La “cosa” da un altro mondo (The Thing, 1951, di Christian Nyby) e il suo remake La cosa (The Thing, 1982, di  John  Carpenter);  I  vampiri dello spazio (Quatermass  II,  1957,  di Val Guest)  con  possessioni  “quasi” vampiresche e il “quasi” remake Space Vampires (Lifeforce, 1985, di Tobe  Hooper), dallo svolgimento non del tutto affine – da notare  la  sceneggiatura  di Dan O’Bannon, autore  anche di Il ritorno  dei morti viventi (1984) – per non  dimenticare  Terrore nello  spazio (1965, di Mario Bava) ed infine, meta zombi,  meta vampiri, i resuscitati di La notte dei morti viventi (The Night of the Living Dead, 1968, di George Romero) capostipite di una nuova serie dedicata ai redivivi.

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Una  altro grande sottogenere e rappresentato dalla commistione con i film di  arti  marziali  cino-giapponesi. L’incontro  vero e proprio con il versante europeo avviene in  La leggenda dei sette vampiri d’oro (The Legend of the Seven  Golden Vampires,  1975,  di Roy Ward Baker) tra Peter  Cushing  (il  più celebre  tra gli ammazzavampiri occidentali) e i guerrieri  orientali contro un’orda di vampiri di tutti i tipi (da Dracula a quelli  cinesi). Il film venne prodotto da una casa inglese, la Hammer[6] celebre per le produzioni seriali dell’orrore assieme alla Shaw  Brothers di  Hong  Kong,  specializzata in film  d’arti  marziali.  Ma  in Oriente il filone e ricchissimo di fantasmi-vampiro. Come, a puro titolo  d’esempio, in Storie di fantasmi cinesi (A Chinese Ghost Story,  1987, di Tsui Hark). Ultimo succedaneo occidentale  della serie  può essere considerato Buffy l’ammazzavampiri (Buffy, the Vampire Slayer, 1992, di Frank Rubel Kuzui) farsa  giovanilistica con eroina, Kristy Swanson, karateka imbattibile in lotta  contro una  banda  di vampiri, piuttosto scalcinati, capitanati da un ironico Rutger Hauer.

Intervista con il vampiro

Intervista con il vampiro (Interview with the Vampire, 1994), di Neil Jordan

Si  cambia quindi genere. Fra mode giovanilistiche, Ragazzi perduti (Lost Boys, 1987, di Joel Schumacher), discoteche,  Vamp (id.,  1986, di Richard Wenk con Grace Jones  versione  vampiro),  girovaghi,  Il  buio  si avvicina (Near Dark,  1988,  di  Kathryn Bigelow),  in  carriera,  La brillante  carriera  di  un  giovane vampiro  (I  Was a Teenage Vampire, 1987, di Jimmy  Huston) per arrivare  al capovolgimento del teorema. Il vampiro e buono,  gli altri  sono  cattivi, o perlomeno  cattivelli. Ecco  cosi Anne Parillaud, ex Nikita, nel ruolo di una vampira “al servizio della legge”  in Amore all’ultimo morso (Innocent Blood, 1992, di  John Landis) che affronta e sgomina una banda di gangster, mentre  Tom Cruise e Brad Pitt passano il secolo in Intervista con il vampiro (Interview with the Vampire, 1994, di Neil Jordan) menando strage di  vampiri  malvagi,  pur essendo anche loro  dediti  alla  vita “notturna”.

Specie mortale (Species, 1995, di Roger Donaldson

Specie mortale (Species, 1995), di Roger Donaldson

E con spirito libertario (nel senso che ci  prendiamo qualche  licenza)  possiamo  considerare  “vampira”  (cattiva o disinibita?) la creatura, geneticamente proveniente dallo spazio, protagonista della serie avente per capostipite Specie  mortale  (Species, 1995, di Roger Donaldson). Non si tratta forse di una caccia condotta da Michael Madsen  (moderno  ammazzavampiri) all’affascinante Natasha Henstridge,  un’aliena,  unica  della sua specie,  che  cerca  di riprodursi accoppiandosi con gli umani. Non e forse ciò che fanno i vampiri tradizionali? La risposta non può che essere  positiva.

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Van Helsing è una serie televisiva statunitense del 2016

A  questo  punto  possiamo chiederci  quali  siano  le caratteristiche cinematografiche  del vampiro. Vaghe,  nonostante i  luoghi  comuni. Quello letterario era ben  connotato.  Pallore, canini aguzzi, sessualità soffusa, sangue a volontà, la lotta fra il  bene  e  il male, fra la vita e la morte.  Nel  cinema  tutto rimane e tutto svanisce al sorgere del sole. Dal primo Nosferatu le  cose  sono cambiate. Tante volte. Ma qualcosa e  rimasta.  Il desiderio  della  vita. Come quando l’aliena di Specie  mortale, seduta a cavalcioni su uno scienziato che ucciderà di li a poco, pronuncia, toccandosi il ventre appena fecondato, la frase chiave della vicenda “Senti la vita che sta sorgendo”[7].

Nel nuovo capitolo che riguarda i cacciatori di vampiri, un film rappresenta il summa di tutti quelli sui cacciatori di vampiri, Van Helsing (id., 2004, di Stephen Sommers) sorta di citazione continua del genere, dei sottogeneri, e non ultimo dei metageneri, vedi l’irriverente e divertente citazione della serie completa di Agente 007, James Bond. Parallelamente anche i serial hanno generato un Van Helsing, una serie televisiva statunitense del 2016 ambientata ai nostri giorni in un mondo devastato da orde di vampiri a cui si oppongono i membri della famiglia Van Helsing, nipoti e pronipoti del leggendario protagonista del film.

La chiave  di lettura  della pressoché infinita serie di film di vampiri sta proprio qui, nel desiderio di vita.  Eterna, forse. Di mantenimento della propria, sicuramente. Certo vista come un fine da  perseguire con ogni mezzo. Cacciatori e cacciati, con ruoli che si invertono di battuta in battuta, in scontri sanguinosi e dall’esito incerto. Sembra quasi la vita. Quella quotidiana.

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Van Helsing (id., 2004) di Stephen Sommers

Note

[1] Questo saggio mi era stato commissionato per un volume sui vampiri una ventina d’anni or sono. Non venne pubblicato (il libro) e lo persi. Casualmente ripulendo il computer dopo un passaggio della memoria da uno precedentemente usato ho trovato alcuni file malconci di un word vetusto e quasi illeggibile. Ripulito è apparso un testo ancora attuale. Ovviamente la filmografia si ferma alle soglie del 2000, ma tutto il resto risulta corretto e utilizzabile. Revisionato e pubblicato.

[2] Sui  vari nomi attribuiti alle varie specie di vampiri vedi Domenico Cammarota, I vampiri, Fanucci, Roma, 1984, pag. 27-39.

[3] Peter Penzoldt, The Supernatural in Fiction, London,  Peter Neville, 1952.

[4] Tzvetan  Todorov,  La  letteratura   fantastica,   Milano, Garzanti, 1977 (edizione originale Introduction a la  literature fantastique, Editions du Seuil, 1970).

[5] Sul  cinema  di Mario Bava vedi a cura di  Giuseppe  Lippi  e Lorenzo  Codelli  le schede dei film in Fant’Italia,  Trieste, 1976.

[6] Vedi il saggio di Kim Newman La festa di sangue, nel  volume  curato da Emanuela Martini Hammer & dintorni, edito dal Bergamo Film  Meeting nel 1990. Sulla Hammer e soprattutto sulla figura “romantica” del vampiro si veda il saggio di Emanuela Martini “Il ballo  dei vampiri”, in Cineforum n. 321, febbraio  1993,  pag. 16-29

[7] Frase plausibile poiché l’incrocio genetico proveniente dallo spazio ha un metabolismo accelerato. In poche ore si compie la gestazione simil-umana che  richiede normalmente un periodo compreso fra le 38 e le 42 settimane.

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