La simulazione

Giocare, simulare e recitare

di Enzo Kermol

Il concetto di “gioco” è compreso da tutti, sia dagli adulti che dai ragazzi, per i quali può sembrare un elemento istintivo. Una parte delle attività ludiche normalmente eseguite consiste in rappresentazioni simulate della realtà nelle quali i partecipanti ricreano particolari situazioni ambientali e interpretano il ruolo di personaggi prefissati. La gamma di tali attività si estende dalle finzioni infantili di impersonificazione di figure semplici ai processi simulati di esercitazione per i professionisti e alla complessa organizzazione di corsi di formazione. Negli anni Settanta infatti ci si rese conto che gli elementi del gioco di simulazione potevano essere trasferiti, adattati e impiegati nelle tecniche di apprendimento, sia nella scuola sia nell’istruzione degli adulti. Da qui un’ulteriore diffusione di pratiche raggruppabili nel concetto di “gioco”. Secondo Taylor e Walford “nell’ambito del vasto spettro della simulazione accade che i partecipanti:

  • Assumano ruoli analoghi a quelli del mondo reale e prendano quindi decisioni rispondenti alla loro valutazione dell’ambiente in cui si trovano;
  • sperimentino in proprio le conseguenze simulate connesse alle loro decisioni e prestazioni;
  • verifichino i risultati delle loro azioni e siano indotti a riflettere sulle relazioni fra decisioni prese e conseguenze che ne sono derivate”[1].

Come affermano Taylor e Walford, giocare e recitare sono attività insite nell’uomo, in particolare nel bambino per il quale il gioco è un modo per divertirsi ed esercitarsi ad entrare nella vita adulta. Le prime manifestazioni di semplici giochi di simulazione si verificano dopo il compimento del primo anno di vita. Solamente più tardi, verso i tre anni, il bambino attribuisce agli oggetti un ruolo diverso, rispetto a quello che hanno nella realtà, fingendo che gli oggetti siano qualcosa di altro, per poi passare a “fingere di essere qualcun altro” verso i cinque anni. Un ulteriore passo in avanti si ha quando il bambino, a sei anni circa, programma consapevolmente, attribuendo non solo a sé stesso ma anche ad altri bambini dei ruoli, (inteso come “role-playing”). Negli anni successivi i bambini arricchiscono questi giochi di ruolo con regole che vengono così chiamati “giochi di simulazione”. L’adulto osservando queste attività innate nel bambino ha colto le potenzialità di esse trasferendole nell’età adulta e utilizzandole in un modo più sofisticato e consapevole. Il role-playing, per esempio, a partire dagli anni Trenta, è stato utilizzato all’interno di gruppi ristretti “come strumento per estendere la ricerca sul comportamento umano in vari campi di studio e adottarlo anche come forma di terapia per malattie mentali. Appena negli anni Settanta ha avuto un ulteriore sviluppo nel campo dell’istruzione degli adulti; dalla semplice simulazione usata nei colloqui per l’assunzione al lavoro, il metodo si è diffuso in molti altri settori”[2].

Dai giochi con regole discendono i giochi “gaming-simulation” che sono “simulazioni che si svolgono in forma di gioco, e che possiamo definire tecniche di manipolazione di un modello (simulation) attraverso l’assunzione di ruoli (role) sottoposti a regole (game). Simulation – role – game sono le tre coordinate che delimitano il campo della “simulazione giocata”[3]. Per D’Andrea, il role-playing, inteso come assunzione di ruoli, è “un’attività dove un certo numero di persone si riunisce attorno ad un tavolo con dadi e matite ed inventa un mondo nel quale si svolge una storia: ciascun giocatore crea un personaggio che affronterà in sua vece situazioni rischiose, esotiche, comunque avventurose e lo gestisce attraverso la sequenza di avvenimenti che costituiscono una campagna, descrivendone le azioni, impersonandolo ed interpretando la sua parte in dialoghi e scambi vari”[4].  Gli attori sono i giocatori, il regista e coordinatore – il master – è colui che lega le azioni in una trama coerente ed è responsabile della loro ideazione. Egli descrive oralmente ai giocatori l’ambiente circostante, gli oggetti o creature che vi si trovano ed impersona tutti i personaggi con cui questi vengono in contatto. Occorre solo che i partecipanti accettino una nuova identità, entrino nei panni altrui e agiscano e reagiscano in modo conseguente quanto meglio possono.

I giocatori per iniziare la partita, hanno bisogno di dadi, questi sono sì il simbolo della casualità, ma di una casualità influenzabile. Più esattamente, vengono utilizzati in chiave probabilistica, il loro risultato viene di volta in volta modificato da coefficienti scaturiti dall’applicazione di altre regole; (la stessa cosa avviene anche nei boardgame – o giochi da tavolo). Le personalità dei giocatori sono definite da valori numerici assegnati ad alcune caratteristiche, in linea di massima generati per tiro di dadi. Questi valori numerici, oltre ad avere riflessi sull’azione di gioco, sono vincolanti per la recitazione del giocatore. L’assunzione di un ruolo immaginario da parte del giocatore è governata quindi da una serie di regole.

“Ciò che veramente conta nel role-playing è l’immedesimarsi in un’altra persona. L’allievo è messo in condizione di sentire il suo ruolo, sulla base di informazioni essenziali. Segue poi l’esperienza della correlazione di questa nuova identità con le diverse situazioni degli altri partecipanti, il problema, è cioè di interagire con gli altri”[5]. Con questa partecipazione si spera che i protagonisti acquistino sia una  maggior comprensione di ruoli e rapporti diversi, sia una profonda consapevolezza delle proprie azioni e conseguenze annesse.

Le origini e lo sviluppo di questa tecnica risalgono allo psicodramma moreniano, nel “teatro della spontaneità”. Come ci racconta  Capranico ne è il padre lo psichiatra rumeno Jacob L. Moreno (1889-1974), “il gioco psicodrammatico consiste nell’evincere, superandoli, i limiti della verbalizzazione, del racconto, del self-report: modi che si prestano ad essere lenti, densi di astrattezze, di difese intellettualizzanti. Viene richiesto di agire drammaticamente il tema su una scena, interagendo con altri che rappresentano altri personaggi”[6]. Chiaramente vi sono elementi antecedenti, il teatro in primo luogo, come luogo in cui l’attore recita un ruolo. Mentre il secondo non può essere che il gioco. Negli anni Settanta il role-playing ha avuto uno sviluppo nel campo della formazione degli adulti. Da semplice simulazione usata nei colloqui di assunzione al lavoro, il metodo si è diffuso in molti altri settori educativi e formativi.

Secondo Giuliano simulation – role – game sono le tre coordinate che delimitano il campo della simulazione giocata. “Sono simulazioni che si svolgono in forma di gioco, e che possiamo definire tecniche di manipolazione di un modello (simulation) attraverso l’assunzione di ruoli (role) sottoposti a regole (game)”[7].

Il termine “game” implica la nozione di regole che stabiliscono i limiti concessi alle decisioni da prendere, agendo come meccanismo semplificatore e restrittivo. I giochi impegnano gruppi di giocatori – di coloro cioè che prendono le decisioni – collocati in un ambiente descritto e limitato da sistemi di regole e da metodi di procedura. Nelle simulazioni giocate per prima cosa si precisa una situazione di partenza e si forniscono alcune informazioni sul modo in cui la simulazione dovrebbe svolgersi. Giuliano sostiene che una caratteristica che accomuna la simulazione giocata è il fatto di includere una “assunzione di ruoli” da parte dei giocatori. I partecipanti vengono invitati ad assumere una condotta coerente in vista di uno scopo generale, vincolata dall’ambiente fittizio costituito dalle regole del gioco.

L’introduzione del computer non ha modificato i denominatori comuni delle “simulation – gaming” (assunzione dei ruoli e creazione di regole) menzionate da Giuliano e D’Andrea, ma ha permesso, secondo Taylor e Walford di “sveltire il gioco, far fronte alla complessità dei calcoli, assicurare il massimo grado di precisione”[8]. La novità consiste nel fatto che esistono tipi di simulazione “uomo contro elaboratore” in cui l’elaboratore stesso rappresenta una fonte di materiale e un avversario instancabile comunque lo si affronti. Le tecniche di simulazione con l’impiego dell’elaboratore sono state applicate sia ad argomenti seri che argomenti frivoli[9]. Con l’elaboratore si ha la possibilità, di riprodurre e ricreare le più svariate situazioni di simulazione: dagli incontri di pugilato, alle partite di calcio con giocatori appartenenti ad epoche diverse, e via dicendo. Nel campo educativo, secondo Taylor e Walford, si dispensa anche l’insegnante da tutte quelle ripetizioni che possono rivelarsi necessarie per consolidare l’apprendimento e aggiungervi una nuova dimensione di interesse e di esperienza. Tuttavia già prima dell’introduzione del computer “nelle scienze sociali la simulazione aveva trovato applicazioni prima di tutto all’interno di attività che presentano situazioni di conflitto e delle quali si desiderano prevedere gli sviluppi. Risalgono al secolo scorso le simulazioni strategiche utilizzate dagli Stati Maggiori e poi sviluppate in forma di vero e proprio gioco (wargame) a partire dagli anni cinquanta”[10].

“I giochi d’affari (businnes game) derivano direttamente dai giochi di guerra e devono molto alle iniziative intraprese nel 1956 dalla “American Management Association” (A.M.A., Associazione americana dei dirigenti) che progettarono la “Top management simulation” (Simulazione per dirigenti di alto livello). Dal 1956 la simulazione fu introdotta come valido sistema di addestramento sia nelle università che lavoravano in quel campo, sia nelle industrie e nel commercio”[11]. Per Taylor e Walford l’approccio simulativo, proprio per la sua concreta aderenza alle diverse situazioni, può essere considerato un valido modo per tentare di gestire situazioni complesse e colmare così il divario esistente tra lo studio e la realtà: “Partecipare ad una simulazione dà modo di saggiare il mondo reale e perfino di prendere decisioni tipiche di quel mondo reale; tutto questo avviene in un ambiente privo di rischi, senza danneggiare né sé stessi né gli altri, né attrezzature costose, commettendo errori e imparando da questi, acquisendo, quindi, un’esperienza che più avanti potrà essere utilizzata in situazioni reali analoghe o pertinenti”[12].

Secondo Peters, Vissers e Heijne[13] molte volte è impossibile insegnare o formare studenti in situazioni reali; ad esempio perché la situazione è troppo complessa, o perché ad una persona viene richiesto di possedere una determinata conoscenza o delle abilità, prima che questa possa essere ammessa a quella situazione (ad esempio l’addestramento di un pilota e di un chirurgo). In questi casi l’insegnante può rivolgersi al gioco, o ad una qualsiasi altra forma di simulazione, per trasmettere la conoscenza desiderata.

 La progettazione e messa in opera del modello

In linea di massima secondo Taylor e Walford “la maggior parte delle simulazioni istruttive, che implicano procedimenti basati sul gioco, cercano di realizzare gli effetti desiderati nei modi seguenti: Presentando un’astrazione semplificata degli elementi essenziali delle situazioni, eliminandone aspetti banali o irrilevanti. Sforzandosi di rendere espliciti i rapporti essenziali e l’interazione di fondo tra i ruoli chiave. Facendo scorrere il tempo a un ritmo più veloce del normale affinché gli effetti dell’intervento su una situazione in divenire possano esser percepiti in modo chiaro. Consentendo ai partecipanti di provare in prima persona il peso delle conseguenze delle decisioni prese”[14].

All’interno di questo processo evolutivo, si identificano alcune fasi fondamentali.

  1. L’analisi preliminare:

Enucleazione del problema. Nella progettazione di una simulazione occorre prima di tutto definire con chiarezza lo scopo dell’esercizio. Enucleare lo scopo è una fase essenziale per garantire che le esigenze della simulazione siano ordinate in termini di priorità.

Determinazione del contesto. Una volta deciso lo scopo, occorre trovare un contesto particolare entro il quale la simulazione avrà luogo. A questo proposito si dovrà tenere presente l’argomento della simulazione.

Definire delle componenti del sistema. A questo punto si devono definire gli elementi essenziali del sistema, quantificarli e collegarli tra loro entro il sistema stesso.

  1. Aspetti pratici della produzione di modelli:

L’uso delle risorse. E’ necessario analizzare due elementi importanti che qui entrano in gioco, da un lato, il gruppo di partecipanti cui la simulazione è diretta e le risorse concrete di cui si dispone (dimensione degli spazi, tempo, ecc.) e dall’altro la problematica che si vuole rappresentare, che ha struttura organizzativa, rapporti, motivazioni e risultati suoi propri. Occorre ordinare e utilizzare accuratamente tutte le risorse per permettere la fusione dei due elementi, la simulazione va contenuta nei limiti di ciò che può essere credibilmente rappresentato e portato a termine.

Il funzionamento del modello. Tenendo presente la natura delle risorse si può tentare di riprodurre la natura dinamica del modello, cioè le sequenze che avranno luogo quando la simulazione verrà attuata. L’identificazione preliminare dei partecipanti e degli obiettivi è di fondamentale importanza, ma la chiave di volta della simulazione è l’andamento reale dello sviluppo delle interazioni che possono essere fatte derivare da scelte dei partecipanti che si traducono nelle deduzioni di loro azioni”[15].

Qualunque tipo di interazione si decida di adottare deve fondamentalmente rappresentare un’analogia con il processo che la simulazione cerca di mettere in luce. Occorre poi stabilire le sequenze del “come si gioca” e le regole restrittive che definiscano i limiti esterni del modello, alcune delle quali possono essere inserite nella struttura stessa del modello.

  1. Perfezionamento e prova di controllo:

La messa a punto delle regole. Una volta che le limitazioni dinamiche e operative del modello sono state decise, si possono creare vari sistemi di regole, che possono sia produrre direttamente quelle esistenti nella realtà, sia contenere qualche elemento artificiale, a seconda delle risorse disponibili. La maggior parte dei progettisti propende per il primo tipo di regole, in modo che la struttura del gioco rifletta fedelmente la realtà quali che siano le circostanze del gioco stesso.

L’accordatura del modello. L’ultimo stadio della progettazione richiede una accordatura del modello che assicuri risultati soddisfacenti. L’occhio critico del progettista esperto accorcia questa fase ripetitiva, ma quasi certamente si dovranno fare dei tentativi a vuoto per vedere quali problemi si presentano”[16].

Progettazione e applicazione di un gioco

Un contributo interessante all’approccio simulativo è stato dato da Peters, Vissers e Heijne secondo i quali “se utilizziamo le simulazioni per imparare o insegnare problemi o situazioni, in primo luogo creiamo un modello semplificato della situazione, successivamente impariamo o insegniamo qualcosa su questo modello e infine traduciamo i risultati, ovvero la conoscenza acquisita, e la applichiamo nella realtà” [17]. Il problema o la situazione che è all’oggetto dell’insegnamento, viene chiamato “sistema di riferimento”, esso è il punto di partenza per l’approccio simulativo. Se questo sistema di riferimento è troppo complesso, possiamo utilizzare un gioco per fornire ai partecipanti una nuova conoscenza oppure per offrire loro la possibilità di formazione con nuove abilità. Per creare un modello, descriviamo gli elementi del sistema di riferimento e i rapporti fra loro in termini di un altro noto e conosciuto sistema. Nel processo di traduzione del sistema di riferimento in un modello ludico semplificato, vengono applicati tre principi: riduzione, astrazione e simbolizzazione.

Riduzione: viene effettuata una scelta degli elementi presi dal sistema di riferimento che devono essere inclusi nel modello ludico; vengono inclusi gli elementi che sembrano di rilevanza e tralasciati quegli elementi che sono meno importanti.

Astrazione: implica che gli elementi inclusi nel modello ludico non siano necessariamente così dettagliati come lo sono in realtà: deliberatamente vengono semplificati per rendere il modello meno complesso.

Simbolizzazione:  gli elementi e i rapporti del sistema di riferimento vengono plasmati in una nuova struttura simbolica, in uno scenario, in ruoli, codici e simboli, che sono gli elementi base più importanti di un gioco[18].

Il processo di progettazione e di applicazione di un gioco viene illustrato da Vissers, Heijne e Peters[19].

Il sistema di riferimento deve essere tradotto in un gioco utilizzabile: ovvero dobbiamo capire bene le caratteristiche del sistema di riferimento e trasformare queste caratteristiche in elementi che costituiscono il gioco. Successivamente, il gioco viene fruito dai partecipanti, che acquisiranno così nuove informazioni, conoscenze ed esperienze. A seconda del tipo di applicazione e degli obiettivi del gioco, il risultato del “giocare un gioco” può avere un qualche interesse per il ricercatore o per gli stessi partecipanti. A tal ragione, le osservazioni e le esperienze fatte nella simulazione devono essere riportate al sistema di riferimento. Dopo la fase dell’ apprendimento o la fase pratica, i partecipanti dovranno quindi applicare la loro conoscenza o le loro abilità  acquisite nel gioco, nelle situazioni reali.

Il sistema di riferimento può essere considerato come il punto obiettivo per il processo ludico. Siccome il sistema referenziale è altresì il punto di partenza del processo ludico o di gioco, vediamo che il cerchio simulativo si chiude. Quando i giochi vengono applicati nel contesto descritto, il ragionamento di base è che noi siamo in grado di tradurre la conoscenza e l’esperienze acquisita, da un sistema all’altro. La portata entro la quale questa traduzione sarà una traduzione di successo, dipende tra le altre cose, dal grado in cui il gioco è una valida rappresentazione del sistema di riferimento. In altre parole, la forza delle nostre conclusioni circa il sistema di riferimento è determinata dalla validità o efficacia del modello di gioco.

In rapporto all’utilizzo del gioco nella ricerca, Raser ha definito la validità dei modelli nel modo seguente: “Si può dire che un modello sia valido fino al punto in cui l’analisi di quel modello fornisce gli stessi risultati che una ricerca simile avrebbe ottenuto in un sistema di riferimento” [20]. Qui la validità si basa sui risultati dell’utilizzo del modello.

Raser ha suggerito quattro criteri per la validità del gioco: la realtà psicologica, la validità strutturale, la validità del processo e la validità di previsione.

Il primo criterio per la validità è quello della realtà psicologica. Un gioco è valido fino al punto in cui  fornisce un ambiente che appare realistico per i giocatori. Se essi non riescono a vedere il gioco come reale, potrebbero mostrare un comportamento diverso rispetto a quello che mostrerebbero in una situazione di vita reale. Il risultato sarà che i comportamenti nel gioco non corrisponderanno ai comportamenti nel sistema di riferimento.

La validità strutturale è il secondo criterio di validità. Questo criterio viene formulato come segue: Un gioco è valido fino al punto in cui si può dimostrare che la sua struttura (la teoria, la base concettuale sulla quale esso è costruito) è isomorfica per quel sistema di riferimento. Il termine isomorfico indica che questi elementi ed i rapporti in entrambi i sistemi, non devono necessariamente essere simili, ma ci deve essere una congruenza fra di loro. (In questo caso tra gli elementi nel sistema di gioco e gli elementi nel sistema di referenza). Siccome noi cerchiamo di costruire un modello semplificato del sistema di riferimento, non è necessario che tutti gli elementi e i rapporti siano rappresentati nel modello di gioco. Pertanto, questo aspetto della validità implica che aspetti, caratteristiche molto importanti del sistema di riferimento dovrebbero essere inclusi nel modello di gioco secondo una modalità isomorfica.

La validità del processo, terzo criterio della validità, implica che: Un gioco è valido fin al punto in cui i processi osservati nel gioco sono isomorfici rispetto a quelli osservati nel sistema referenziale. Il precedente criterio dichiarava che ci dovrebbe essere una congruenza fra gli elementi nel sistema di gioco e gli elementi nel sistema di referenza. In modo analogo questo terzo criterio dice che ci dovrebbe essere congruenza tra i processi che hanno luogo in entrambi i sistemi.

L’ultimo criterio è la validità di previsione: Un gioco è valido fino al punto in cui esso è in grado di riprodurre dei risultati storici ovvero predire il futuro. Questo criterio fa riferimento alla precisione dei risultati del gioco: “Siamo in grado di fare una buona stima, valutazione o previsione di ciò che accade nel sistema di riferimento?” Noi possiamo verificare la validità di un gioco cercando di ricostruire le situazioni note. I risultati del gioco possono, quindi essere comparati con i risultati della realtà.

Si è detto che il modello, non può essere ancora considerato una simulazione. “Il simulatore è un modello dinamico, una formalizzazione di un sistema referente progettato per rassomigliare a un sistema dinamico”[21].Per rendere più chiari questi concetti di “modello”, “simulatore” e “simulazione”, Giuliano propone un esempio: “La  scacchiera con i pezzi degli scacchi è un modello; diventa un simulatore quando aggiungiamo le regole di movimento e di comportamento dei pezzi. La simulazione si ha quando due giocatori compiono scelte strategiche muovendo i pezzi sulla scacchiera in base alle regole”[22].

“Il simulatore diventa attivo grazie alla presenza di un “soggetto agente” (attore) che prende le decisioni che rendono operativo il modello dinamico. L’attore non deve essere necessariamente un essere umano, può essere un animale da laboratorio o un circuito elettrico. Un modello rappresenta alcune proprietà invarianti del sistema complesso di riferimento in modo tale che esso diventi accessibile all’esperienza di un attore. Un simulatore include le regole di manipolazione del modello da parte dell’attore, e quindi rappresenta il campo di variazione delle proprietà variabili del sistema, individuate durante la progettazione e affidate alle potenziali scelte strategiche dell’attore.

Una simulazione include l’attore che rende operativo il modello e riproduce il sistema di riferimento con le sue proprietà varianti e invarianti compresa la “produzione di senso” dell’attore, le strategie adottate e la sua “invenzione delle realtà. Restando nell’esempio degli scacchi, gli attori, in questo caso, sono i due giocatori; uno dei due potrebbe essere un computer, questo significa semplicemente che la simulazione (la partita) contiene un simulatore (il giocatore computerizzato) che consente di riprodurre “l’interazione strategica” dei due giocatori”[23].

Note

 

[1] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pag. 17.
2] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pag. 20.
[3] Giuliano L., La simulazione dei ruoli in La simulazione, Kermol E., Proxima Scientific Press, Trieste, 1994, pp. 167-168.
[4] D’Andrea F., L’esperienza smarrita. Il gioco di ruolo tra fantasy e simulazione, Rubbettino Editore, Catanzaro, 1998, pp. 15-16.
[5] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pag. 17.
[6] Capranico S., Role Playing, Cortina editore, Milano, 1997, pag.1. Per approfondire l’origine del Role Playing rinvio direttamente al volume di Capranico, estremamente chiaro ed esaustivo sul funzionamento di questa tecnica.
[7] Giuliano L., La simulazione dei ruoli, in Kermol E., La simulazione, Proxima Scientific Press, Trieste, 1994, pp. 167-168.
[8] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pag. 22.
[9] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pag. 23.
[10] Giuliano L., La simulazione dei ruoli in La simulazione, Kermol E., Proxima Scientific Press, Trieste, 1994, pag. 167.
[11] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pp. 24-25.
[12] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pag. 47.
[13] Peters V., Vissers G., Heijne G., “The Validity of Games”, in Simulation & Gaming, Sage Publications, Vol. 29, n. 1, March 1998, pp. 20-21.
[14] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pp. 52-53.
[15] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pag. 54-55.
[16] Taylor J. L., Walford R., I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano, 1979, pp. 56-57.
[17] Peters V., Vissers G., Heijne G., “The Validity of Games”, in Simulation & Gaming, Sage Publications, Vol. 29, n. 1, March 1998, pag. 21.
[18] Peters V., Vissers G., Heijne G., “The Validity of Games”, in Simulation & Gaming, Sage Publications, Vol. 29, n. 1, March 1998, pag. 27.
[19] Vissers G., Heijne G., Peters V., Spelsimulatie en bestuurskundig oderzoek (Gaming and research on public administration),Bestuurskunde, 4(4), pp. 178-187, 1995.
[20] Raser J.C., Simulations and society: an exploration of scientific gaming, Allyn & Bacon, 1969.
[21] Giuliano L., La simulazione dei ruoli in La simulazione, Kermol E., Proxima Scientific Press, Trieste, 1994, pp.164-165.
[22] Giuliano L., La simulazione dei ruoli in La simulazione, Kermol E., Proxima Scientific Press, Trieste, 1994, pag. 165.
[23] Giuliano L., La simulazione dei ruoli in La simulazione, Kermol E., Proxima Scientific Press, Trieste, 1994, pp. 165-166.

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